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sabato 16 luglio 2016

Simple minds, "New gold dream (81-82-83-84)"



Ci sono band che hanno fatto la storia della musica con carriere ultra-decennali, durante le quali sono riuscite a partorire diversi album memorabili, i quali hanno influenzato indelebilmente le composizioni del pop per anni a seguire.
Ci sono, poi, altri gruppi che hanno prodotto pochi dischi, ma che allo stesso modo hanno lasciato un marchio indelebile nel campo musicale. 
I Simple minds, pur essendo una delle formazioni a mio avviso più rilevanti degli anni 80', non fanno parte né dell'una né dell'altra categoria. Gli scozzesi hanno continuato a produrre brani fino ai giorni nostri, ma hanno dato il loro meglio agli esordi, tra la fine degli anni settanta e i primissimi ottanta.
E "New gold dream",pubblicato nel 1982 è forse il loro canto del cigno, sebbene alcuni album dignitosi li abbiano realizzati anche nel lustro successivo. Ma nulla di così rilevante, niente di così ispirato.
"New gold dream" contiene e sintetizza le due anime della band capitanata da  Jim Kerr: quella più sperimentale ed atmosferica, strettamente legata agli esordi new wave e post-punk, e quella sfrontatamente "poppettara" che culminerà con la prescindibile ed ingiustamente acclamata "Don't you forget about me", che non rende assolutamente giustizia all'importanza che questi ragazzi hanno avuto nell'ambito pop-rock.
E allora se proprio sentite l'esigenza di ascoltare qualcosa di smaccatamente PoP che derivi dagli anni 80', con suoni di sintetizzatori e tastiere a tavoletta, vi consiglio di partire dalla genuina "Someone Somewhere in Summertime", che oltretutto ha mantenuto intatta una freschezza tutta estiva, nonostante i suoi trentaquattro anni suonati, differentemente da quella "Don't you.." alla quale accennavo prima, che a mio parere risente in maniera pesantissima della patina del tempo e dell'eccessivo "airplay" che le è stato concesso. 
Il basso di Derek Forbes si fa spazio soavemente tra le tastiere sempre ispirate e centrali del buon Mick MacNeil, sino ad arrivare alla futuristica e orecchiabile "Promised you a Miracle".
Lo stesso Kerr si distacca leggermente dal suo solito modo di cantare, sino ad allora piuttosto cupo e verosimilmente ispirato al mitico Ian Curtis (ad ogni modo ancora integro e rintracciabile in tutto l'album e in particolar modo nella title-track "New gold dream") , per aprire alle armoniose sferzate di "Glittering prize". 
Non mancano momenti riflessivi, come la successiva "Hunter and the hunted", dove l'atmosfera crepuscolare torna a riappropriarsi della scena, e a regalarci cinque minuti e cinquantacinque secondi di puro godimento post-punk-wave, a cui miriadi di gruppi moderni devono gratitudine, non ultimi gli ottimi Metronomy di "The english riviera", gli straripanti Future Islands di "Singles", e i briosi Foster the people di "Torches".
Si chiude con l'ipnotica "King is white and in the crowd", che ha "un non so che" di tribale e misterico, e ci lascia giusto con quel senso di indefinito che ogni capolavoro dovrebbe  instillare nell'ascoltatore.
Dunque, se come me amate la musica impegnata e con un certo peso specifico, ma non volete rinunciare alla spensieratezza che dovrebbe contraddistinguere il periodo estivo (nonostante queste parentesi metereologiche "lugliembrine" come qualcuno le ha già definite) allora mettete su questo bel disco, e lasciatevi trasportare. E, per favore, balordaggini del tipo "Vorrei, ma non posto" lasciamole ai quattordicenni in crisi d'identità, che loro sì, certi "errori" se li possono ancora permettere!