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martedì 27 agosto 2019

La politica non dovrebbe essere una partita di calcio

L'ennesima crisi di governo scaturita per interessi politici di parte, rappresenta l'occasione buona per dare adito ad una riflessione che covo da un po' di tempo a questa parte.
Esulando volontariamente dal dare giudizi di merito riguardo le varie fazioni partitiche, mi soffermerei invece su un dato di fatto: nel nostro Paese ad ogni dibattito politico, fuori e dentro il Parlamento, pare di assistere ad una partita di calcio in cui i pochi tifosi che stanno sulle tribune fanno spudoratamente il tifo per la "squadra del cuore". Ma alla fine di questa partita non si vince una coppa, né un premio in denaro, bensì ci si gioca il presente e il futuro di milioni di persone.
Sarebbe forse il caso di smetterla una buona volta di ragionare in termini di un futuro consenso elettorale, per concentrarsi invece sui problemi pulsanti che affliggono la quotidianità di quasi tutti i cittadini, e confidare dunque in quella che si ritiene fin da subito la soluzione realistica migliore, per quanto non in termini assoluti. Purtroppo dobbiamo fare i conti con le inevitabili distorsioni che qualsiasi "sistema di potere" comporta, di più con la non meno ineffabile ed imperfetta natura umana. 
Il dato peggiore di questa disamina fattuale, riscontrabile ogni giorno alla tv, sui giornali e attraverso il web, è che i protagonisti non sono solo i politici, che ovviamente danzano senza soluzione di continuità da una dichiarazione al suo opposto, da una volgare offesa dell'avversario alla sua puntuale santificazione, salvo poi tornare sui propri passi laddove la situazione si facesse meno conveniente; i protagonisti, dicevo, sono soprattutto gli ignari individui che si fanno portavoce di una dialettica politica della più bassa lega, la quale punta unicamente ad interessi partitici piuttosto che a quelli della comunità. Si sfidano, si azzuffano, sbraitano ogni sorta di abominio sulle proprie pagine social pur di dare ragione al loro paladino di turno, che si tratti di Salvini, Di Maio o Renzi.
Provo un'incommensurabile pena per queste persone: tutti ci sentiamo in qualche misura di parte, abbiamo delle preferenze, sebbene in un panorama politicamente così desolato appaia davvero arduo individuare un personaggio degno di una qualsivoglia forma di rispetto; eppure non capisco come ci si possa ancora lasciare trasportare da una diatriba del genere, al punto da comportarsi come militi al soldo del capetto di turno.
Il militante, l'inquadrato, lo squadrista mi provocano l'orticaria al pari del tifoso che pur di "vincere" accorderebbe ogni sorta di scorrettezza al club per cui parteggia.
Il tifoso calcistico però lo compiango, si accanisce per una partita da cui non avrà nulla, che finisca bene o male; la sua è una passione pura, sciocca ma disinteressata.  
Il tifoso politico, invece, è doppiamente stolto: esprime un appoggio incondizionato per chi lo ha già preso e lo prenderà ancora per i fondelli, e si convince che il suo interesse coincida con quello di tutti i sette miliardi di individui che popolano il mondo.
I militanti e i menefreghisti sono due facce della stessa medaglia: entrambi credono, senza dubbio alcuno, senza porsi mai un quesito, di avere sempre, inevitabilmente, ragione.