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lunedì 29 dicembre 2014

Classifica migliori album 2014

Siamo ormai giunti alla fine di questo 2014, e come ogni buon blog di musica che si rispetti, mi sono cimentato nello stilare la mia personalissima classifica dei migliori dischi dell'anno, sperando che questa possa essere di consiglio a qualche ascoltatore.
L'unica premessa che vorrei fare è che ovviamente inserirò solo album che ho ascoltato e metabolizzato completamente, dovendo necessariamente tralasciare altri lavori dei quali ho sentito parlare benissimo, ma che purtroppo non ho ancora avuto modo di "analizzare" pienamente. D'altronde scrivo su questo blog per hobby, non essendo un critico musicale di mestiere.Dunque chiunque non fosse d'accordo  con questa classifica è libero di dirlo, e di aggiungere quelli che ritiene siano i migliori lavori pubblicati negli ultimi 365 giorni. A voi i miei preferiti:

6- This is all yours, Alt-j. Questo è l'ultimo che ho ascoltato in ordine di tempo, ed entra di diritto nella top six per la ricercatezza dei suoni e dei cori, per l'originalità degli Alt-j che rimane intatta dopo il meraviglioso "An awesome wave" (e non era cosa facile). Un lavoro ermetico, leggermente meno diretto rispetto al precednte, ma che va ascoltato tutto d'un fiato, e regala splendide suggestioni già dal primo ascolto, per poi diventare nelle successive ripetizioni un piccolo gioiello imprescindibile.

5- Present Tense, Wild Beasts. Sulla falsariga degli Alt-j, i Wild Beasts è possibile incontrarli sul binario della sperimentazione, che qui è però ancor più orientata verso l'elettronica. Falsetti e voci baritonali sovrapposte e talvolta contrapposte, sintetizzatori utilizzati in maniera sapiente e mai banale, e qualche melodia da far mozzare il fiato anche al peggior scettico.Ascoltare Mecca per credere. Quinto posto decisamente meritato.

4-Il padrone della festa, Fabi, Silvestri, Gazzè. Non potevo lasciare da parte il panorama musicale nostrano che quest'anno ci ha riservato una squisita sorpresa: tre dei nostri migliori cantautori si sono uniti per dar vita ad un disco dalle atmosfere nostalgiche, di ampio respiro, ispiratrato nei testi quanto nelle melodie, cantato dannatamente bene, e per giunta registrato ancor meglio. Da far venire l'acquolina in bocca ad un audiofilo incallito!

3-Songs of innocence, U2.  Dopo quasi quarant'anni di onorata carriera, è già un miracolo se una band è ancora unita, se fa ancora tour, figurarsi se riesce a creare undici canzoni coese ed ispirate. Questo è esattamente quello che è successo con questo ottimo album, raccordato con gli albori del gruppo, ma completamente immerso (specie musicalmente) nel presente. Grazie anche al lavoro di produzione di Danger Mouse e dei tanti colleghi, il disco è un connubio di mestiere rock e freschezza pop, rivelandosi il migliore realizzato dagli irlandesi dal controverso e potente "Pop". I Fasti del passato rimangono lì, ma nel presente gli U2 riescono ancora a dire la loro, battendosela tranquillamente con i migliori gruppi del momento.

2- Morning Phase, Beck. Il folletto Beck torna a stupirci con un'opera degna del suo nome, che mixa perfettamente le tre anime del cantautore: quella più sperimentale, tesa a pochi ma giusti tocchi elettronici, quella più intimista, tutta concentrata in linee armoniche semplici e basate fondamentalmente su strumenti acustici, e quella orchestrale riconoscibile nelle cruciali sfumature di quasi tutte le canzoni. Il tutto è completato dai suoi testi brillanti e profondi, e da un lirismo mai esagerato, che non fa una piega.

1-Lost in The dream, The war on drugs. La palma d'oro di disco più bello dell'anno, stavolta se l'aggiudicano (per quanto mi riguarda) The war on drugs, progenitori di un disco sulfureo, notturno, sognante, ai limiti del mistico se me lo permette. Sentito dalla prima all'ultima traccia lascia l'ascoltatore inebriato e sazio di un viaggio non solo musicale, ma fatto per lo più di atmosfere magiche e suggestive, inglobate perfettamente nel complesso di un panorama indefinito. Come affacciarsi da un promontorio, e vedere una valle pianeggiante al culmine della quale l'occhio non riesce più a distinguere tra cielo e terra. Certi dischi vanno ascoltati con attenzione, anche solo per vivere un'esperienza appagante per la nostra anima.



lunedì 22 dicembre 2014

SUSHAFIRE AL COMPLEANNO DI DANIELE: Le foto



Ieri sera si è tenuto il compleanno del nostro amico Daniele Leonardi. E noi SushaFire siamo stati chiamati ad animare la serata, e dunque ad esibirci col nostro repertorio.
Innanzitutto mi preme ringraziare Francesco, Daniele e tutta la famiglia per aver pensato a noi, che speriamo di aver ricambiato dando il massimo, e cercando di divertirci e far divertire.
Di certo la festa è andata benissimo, con grande divertimento degli invitati, e con uno strepitoso coinvolgimento nel  finale di serata da parte di tutti i ragazzi, che avvicinatisi alla nostra band, hanno condiviso assieme a noi le strepitose improvvisazioni di Giorgio, Salvatore e Jp, i quali attraversando il rock, la dance, la musica popolare, il reagge, e il funcky hanno accontentato praticamente tutti!
Dunque cos'altro aggiungere... un'altra esperienza positiva per i SushaFire, una splendida serata condivisa con gli amici.
Un abbraccio ed un ringraziamento a tutti, e aspettando di rivederci molto presto, non dimenticate di continuare a soffiare su questo fuoco, affinchè continui a rimanere acceso!

Di seguito alcuni scatti della serata.









sabato 13 dicembre 2014

Recensione: U2, "Boy"







Quando gli U2 non erano ancora gli U2, c'erano solo quattro ragazzetti capelloni e un pò "sfigatelli" che vivevano nella periferia di una delle città più roventi in quegli anni: Dublino.
Girare per le strade era pericoloso, poichè le tensioni interne tra l'IRA e i rappresentanti per i diritti civili erano altissime.
Non c'erano ancora mega tour iper-pubblicizzati ed oltremodo costosi, non c'erano i famosi occhiali da sole di Bono, sul capo del buon Edge non troneggiava il mitico cappellino di lana, ma una folta chioma di lunghi capelli castani; Larry non aveva ancora il fisico da palestrato nè lo sguardo da duro, ma un dolce visetto da bimbo, colmo di speranze e paure; e in quanto ad Adam, bè... lui sembrava appena tornato da un lungo viaggio in Afghanistan, con dietro un grosso carico di Kefieh e Narghilè.
I diciasettenni "Feedback"(così s'erano chiamati sino ad allora) provavano tra cucine e garage, e durante uno dei loro primi concerti chiesero al pubblico di scegliere tra due nuovi nomi: The Hype, e quello strano nomignolo consigliatoli da un loro caro amico, ed ispirato ad un aereo spia americano: U2.
Quello che scelsero i ragazzi che li ascoltavano, è ormai storia.
Un paio di anni dopo i quattro dublinesi ebbero l'opportunità di registrare il loro primo LP, un disco dalla copertina grigia e sfocata, con la foto di un bambino ancora innocente: Boy. Quale titolo migliore per l'album d'esordio di quattro individui che fondamntalmente erano ancora degli adolescenti?
Le linee di basso di Clayton sono essenziali, ma estremamente ficcanti, d'altronde suona quello strumento giusto dal tempo necessario per estrapolarne le basi.
Bono cerca ancora la sua voce, ma ci mette dentro una carica assurda, la rabbia di un quattodicenne che ha perso la madre troppo presto, e il carisma che l'ha sempre contraddistinto.
Mullen e the Edge sono gli unici a sapere davvero quello che stanno facendo; il primo è una vera e propria forza della natura, suona con una grinta e quella disinvoltura tipica di chi è nato per fare quella cosa e basta.
Il secondo non ha grande istintività, una tecnica ancora in elaborazione, ma ha tutto quello che serve ad un grande chitarrista degli anni 80': la creatività e il sentimento.
Queste poche, ma essenziali doti si riversano già nella prima traccia del disco, la storica I will follow, dedicata proprio alla madre di Paul Hewson, che si apre con il riff martellante di the Edge sovrapposto ad uno Xilofono che crea un'atmosfera straniante per il rock consueto, e ci trascina in pieno ambiente New Wave.
Post punk, New wave, e Punk-rock sono i tre generi che ritroviamo nettamente all'interno degli undici brani.
Twilight è una dimostrazione di come queste fonti d'ispirazione si fondano alla perfezione all'interno del sound "uduiano", richiamando al nostro orecchio gruppi quali Joy Division, Siouxsie and The Banshees, ma anche Clash.
An Cat dubh ci mostra il lato più "dark" della band, con il basso di Clayton che prende il sopravvento, accompagnandoci alla successiva Into the Hearth. Entrambe le canzoni fanno parte della stessa suite, ma la seconda ha addirittura un certo accento prog-rock, ed un cantato più gioviale, ma non meno melanconico.
Due parole a parte le merita il primo singolo, Out of control, dove incontriamo le influenze più apertamente punk, quelle dei Ramones per intenderci. Il pezzo è incredibilmente trascinante, e ci dimostra come la batteria di Larry sia fondamentale nell'economia sonora del gruppo, quasi quanto la splendida chitarra del buon Dave Evans, qui più squillante che mai con l sua Gibson Explorer. Ma soprattutto ci ricorda che questi quattro giovani sono animali da palcoscenico; la loro comunicatività è l'arma fondamentale.
Sullo stesso binario prosegue Stories for boys, dalla quale esce ancora una volta trionfante il ritmo indomabile delle percussioni, e la voce potente di Bono.
The Ocean è forse il brano più riflessivo dell'intero album, fortemente New Wave, con leggere contaminazioni di suoni elettronici, specie nel finale.
A day without me è invece una canzone tutta basata su un tipico ritmo anni 80' ed una melodia decisamente virante verso un fresco pop, sebbene il testo riguardante l'idea del suicido in età giovanile e dedicato in particolare a Ian Curtis (che da poco s'era tolto la vita), sia tutt'altro che spensierato.
Another Time, another place lascia spazio ai tipici cori di Edge e Bono che ci accompagneranno per tutta la prima parte della loro carriera, e ancora una volta alle poche, ingegnose, taglienti, spiazzanti note della chitarra. La voglia di trovarsi in un altro posto e in un altro luogo, tipica dei giovani, raccontata dai giovani ma con una maturità insolita, e con una chitarra che talvolta ricorda più i rintocchi di una campana d'un enorme cattedrale. Una canzone struggente.
The electric Co. tocca il tema dei disagi psichici, e di come fossero maltrattati coloro che ne soffrivano all'epoca, costretti a sopportare la brutalità dei manicomi, talvolta dell'eletroshock, finendo così coll'aggravare ulterirmente la propria salute mentale.Il pezzo è ancora oggi un classico nei concerti del gruppo, tant'è forte la sua carica emotiva.
Chiude questo splendido album d'esordio l'unica (se così la si può definire) ballata: Shadows and tall trees.
Ballata atipica poichè basata sui colpi di rullante della battertia, ma unico pezzo che mette in risalto una chitarra acustica ancora poco usata dal buon Edge. Il cantato ha qualcosa di poetico e conturbante, che lascia l'amaro in bocca.
I giovani U2 hanno appena finito di raccontarci la propria innocenza, e già la stanno perdendo. Stanno diventando degli uomini, e di qui a poco, saranno star internazionali.
Mai nella storia della musica, o almeno di quella rock, era stato fatto un racconto così lucido su cosa volesse dire avere 18 anni, le paure, le speranze, la rabbia di un'età tra le più difficili, di certo quella che si ricorda per sempre con maggiore nostalgia.
Perdere l'innocenza, questo è il tema centrale del disco.
Una tematica incredibilmente nuova  nell'immaginario rock, contraddistinto sino ad allora soprattutto da temi come il sesso, la droga, o paradossalmente da argomenti "troppo pesanti" per inglobare compiutamente i sentimenti di intere generazioni, che lungo il cammino di differenti e lontanissime epoche hanno sempre tentato di sembrare più grandi, di diventare presto adulti, per riscoprirsi poi cresciuti troppo in fretta, ed accorgersi in fine di quale immensa poesia volesse dire essere dei "semplici" ragazzi.

mercoledì 10 dicembre 2014

Dove l'elettronica e il Pop s'incontrano a meraviglia... A voi, i Future islands!

A me il buon Pop, quello di qualità, quello che parla alla mente e all'anima, attraverso il talento, è sempre piaciuto.
Non sono fra chi, per partito preso, scarta un genere poichè ritenuto troppo "di massa".
Ecco perchè ho pensato fosse giusto segnalarvi quest'ottima band.
Una band che miscela all'interno delle sue trame sonore generi completamente diversi tra loro, ma che grazie alla bravura dei suoi componenti e ad un suono ricercato ma semplice, si tengono a meraviglia.
Aggiungete poi la versatilità e la comunicatività di una voce come quella del cantante Samuel T. Herring, e le sue (non si sa quanto volute) goffe ma simpatiche movenze, e la magia è presto fatta.
Dal loro ultimo lavoro Singles, la "commercialissima" Season....
Questi sono i Future Islands, l'esempio di come il Pop possa non essere banale!