Cerca nel blog

sabato 27 agosto 2016

Motta: "La fine dei vent'anni"



Ascoltare un album che s'intitola "La fine dei vent'anni", quando di anni ne hai quasi venticinque, potrebbe essere un' arma a doppio taglio, oltre che un grave errore. Bé in questo errore mi ci sono buttato a capo fitto, e devo dire che ne sono più che contento.
Sì, perché quello del giovane Motta è probabilmente uno dei migliori album italiani del nuovo millennio, e visto che mi ci sono imbattuto quasi per caso, cercherò di far sì che lo stesso destino, un po' meno casuale stavolta, tocchi anche qualcuno di voi.
Chi ha avuto la pazienza e il "masochismo" di leggere qualcun'altra delle mie recensioni, sa bene che la prima cosa che cerco in un album di musica è la sua unità musicale e testuale, il suo essere coeso ed omogeneo, l'impressione di ascoltare dieci, undici canzoni che parlino della stessa cosa, ma che suonino diverse tra loro. Ecco, questo disco ha sicuramente un pregio: dalla prima all'ultima traccia si ha l'impressione di affrontare un unico viaggio a vele spiegate, di attraversare luoghi tra loro simili, ma ognuno con il suo motivo d'essere, ognuno che aggiunge qualcosa di nuovo al precedente.
L'ascoltatore declina a suo piacimento l'interpretazione di un testo o di un'atmosfera, e così mi sono permesso di fare anch'io. 
La traccia che dà il nome all'intero lavoro ha accarezzato le mie orecchie con una dolce chitarra acustica, sporcata in parte dalla voce acidula del cantautore: "la fine dei vent'anni è un po' come essere in ritardo". Quanto è vero, anche se ai trent'anni te ne manca ancora qualcuno. Quanto è necessario trovare quel parcheggio di cui parla il buon Motta; poi ci diciamo che "Prima o poi ci passerà", e ce lo ripetiamo ossessivamente, senza renderci conto che invece di trovare soluzione al problema, lo stiamo accentuando. E non basta la bravura poli-strumentale del nostro cantante a far sembrare questa terza canzone un pezzo dal messaggio positivo. "Sei bella davvero" è una ballata romantica solo in apparenza, leggere altre recensioni per capirne il motivo. Non mancano pezzi più tirati qua e là, con la bravura dei musicisti coinvolti e del produttore Riccardo Sinigallia che viene a galla.
Onestamente, però, non ho voglia di sezionare questo lavoro egregio per vendervelo come fossimo al mercato. Voglio solo dirvi che chi dice di apprezzare la buona musica, difficilmente non amerà questo grande disco, soprattutto perché Motta ci ha messo l'anima, oltre che tutta la sua immensa bravura.
L'indecisione, lo spaesamento, l'ansia, le speranze, la tristezza e le paure dei nostri giovani sono tutte racchiuse in questi trentacinque minuti e poco più. Se non avete voglia di leggere le righe di Schopenauer o Kierkeegard, perdete almeno mezz'ora ad ascoltare questa musica. Prima o poi potrebbe tornarvi utile, o quantomeno potreste riscoprirvi un po' meno soli.


venerdì 5 agosto 2016

Cento pecore, un lupo.

immagine presa da internet

Prendo spunto da un'affermazione proferita da sedicenti professoroni, che ieri sera ho avuto il dispiacere di ascoltare durante una trasmissione televisiva pubblica.
"Nessuno si lamenterebbe se un dirigente guadagnesse 100 volte più di un normale operaio, se questi facesse bene il suo lavoro".
Ebbene mi trovate in assoluto disaccordo con quest'affermazione. 
Sin dall'antichità, persone infinitamente più sagge e colte di me hanno asserito e sostenuto che in una civiltà ,che si possa serenamente definire tale, un uomo, per quanto più competente e colto di un altro, non dovrebbe mai arrivare a guadagnare quattro volte più del suo consimile. Partendo dal presupposto che questa misura è sicuramente indicativa e non vada presa in maniera letterale, trovo quantomeno assurdo, se non addirittura vergognoso, che alcuni dirigenti, manager ecc, percepiscano un utile che i dipendenti di questi ultimi non raggiungerebbero nemmeno laddove dovessero unirsi tutti assieme. Per quanto un ruolo di responsabilità debba essere remunerato proporzionalmente alla sua rilevanza, come è giusto che sia, è immorale e disumano creare differenze di tale portata, che non fanno altro che inasprire una tensione sociale tra gli individui, già di per sè altissima.
Parliamo di risolvere i problemi della comunità, dalle migrazioni alla mancanza di lavoro, ma come si può convivere civilmente se alcuni continuano ad arricchirsi in maniera spropositata sulle spalle della povera gente?
Il merito va premiato, cosa che in Italia ovviamente non accade, ma bisognerà anche rendersi conto che è deleterio per una collettività creare delle disuguaglianze così abnormi. Non può esistere giustizia in un posto dove un muratore e un insegnante guadagnano milleduecento euro al mese, e i direttori di un canale televisivo percepiscono almeno dieci volte tanto, per non parlare poi di alcuni manager che arrivano a centuplicare questa cifra.
Dal mio punto di vista un paese civile è quello in cui si rispetta la dignità del lavoro e dell'individuo, particolare che nel nostro occidente viene troppo spesso accantonato. Si tratta di una questione umana prima ancora che economica e sociale: chi fa di più, guadagni di più, ma di quanto? e soprattutto, chi fa di più?
Lasciare una libertà eccessiva al mercato non solo ha dimostrato tutti i suoi limiti e le disastrose conseguenze che ne possono conseguire, ma rischia addirittura paradossalmente di annullare la libertà stessa dell'individuo, come peraltro accade ormai da più di un paio di secoli a questa parte. 
Forse non esistono più le classi sociali, l'aristocrazia, la borghesia, e il proletariato per come li si intendevano un secolo addietro. Non esiste più la monarchia nè un regime totalitario, perlomeno qui da noi; ma alla dittatura degli uomini si è sostituita la dittatura del danaro, che incontrollabile e svincolata da ogni regolamento o principio decide della vita di milioni di persone. E dietro al danaro c'è sempre qualcuno pronto ad arricchirsi a discapito di qualcun'altro che pagherà per lui le colpe che non ha mai avuto. Questo crea tensione, disordine, disuguaglianza, rabbia. 
Basterebbe poco per migliorare la situazione attuale, basterebbe proporzionare i guadagni all'effettivo lavoro che ciascuno svolge, senza che questi superino in maniera così sregolata quelli di un altro lavoratore, tanto da rubargli la giustizia sociale e la dignità. Ma a qualcuno tutto questo non sta bene, perchè esistono da sempre e forse sempre esisteranno, i lupi e le pecore. Solo che le pecore non sono poi tanto sciocche come tanti vanno blaterando, forse sono solo più deboli, o magari più corrette. Quello che da sempre manca ,invece, sono dei buoni pastori che ne salvaguardino l'integrità. 
Vi apparirà strano, ma nel nostro mondo quelli che dovevano essere i pastori sono diventati dei lupi affamati, e sguinzagliano i propri cani contro il loro stesso gregge. 
Tutto questo è assurdo e, se solo si avesse un minimo di conoscenza e lungimiranza, anche i lupi si renderebbero conto che senza il gregge non avrebbero più nulla da mangiare.