Quintorigo: “Rospo”
Una voce
straordinaria. Dei musicisti straordinari. Arrangiamenti da fuoriclasse
assoluti. Immensa fantasia.
Questi sono i
Quintorigo e John De Leo (purtroppo fuoriuscito dal gruppo ormai da diversi
anni). Maestri troppo spesso accantonati in un panorama musicale italiano zeppo
di chi celebra unicamente i propri mostri sacri, chi esalta i prodotti di talent
show di quint’ordine, chi si prostra ultimamente al cospetto di artisti
fenomenali (Area, Le orme, Pfm, per citarne alcuni) dopo averli prima ignorati
e poi rinnegati a loro tempo, solo perché ascoltare una certa musica impegnata
e di non facile fruibilità oggi come oggi fa tanto “cool”. 
Ebbene, a costoro io
dedico questa recensione, ringraziando i vari New trolls, Osanna, Biglietto per
l’Inferno, poiché senza i loro capolavori non saremmo qui a blaterare di tutto
questo, ma preferendo incensare chi di gloria non ne ha mai avuta, sebbene
l’avesse tanto meritata.
Come mi disse una
volta un mio caro amico, “se proprio devo fare lo snob, voglio farlo fino in
fondo.” 
Quando avevo più o
meno tredici anni stavo spesso a casa delle mie cugine, una delle quali era
particolarmente legata a questa band. È così che li ho conosciuti i Quintorigo,
perché sulle riviste o in tv (a parte la partecipazione a un paio di Festival
di Sanremo, dimenticate con la stessa velocità con le quali furono idolatrate
da certa critica) non se ne parlava affatto.
Questo è un disco monumentale,
totalmente impregnato di musica classica, jazz, rock, funky, blues, ma è
soprattutto un disco intelligente. 
Intelligente nella
scrittura, nell’esecuzione, nell’atipicità. 
Ed è proprio da
un’avvincente funky che parte la nostra avventura con i romagnoli. 
Kristo sì! inaugura nel migliore dei modi il
nostro percorso, con un testo vagamente sacrilego tra il serio e il faceto. Ci
svela inoltre un particolare stravagante e paradossale: i Quintorigo suonano
senza batteria, eppure dal ritmo delle loro composizioni sembra che di batterie
ce ne siano, e più di una. 
Di fatto la voce di De
Leo, oltre a fare da melodia principale, svolge un ruolo di strumento a tutti
gli effetti, tant’è potente, tant’è espressiva, tant’è agile, piena di
sfaccettature. Semplicemente assurda.
Ulteriore conferma ne
è Rospo:
“Sono contento di essere infelice/ Libero dentro io non esco da me/ Non puoi
toccarmi dentro”. 
La canzone narra di un
principe che vuole tornare appunto rospo, schifato dalla superficialità della
vita umana. Pezzo geniale da tutti i punti di vista.
Un caldo suono di sax
apre la terza Nero vivo che si fa portatrice della speranza di vedere
l’arrivo di un nuovo giorno, nonostante l’”alba senza sole.” 
La strumentale Zapping
sembra suonata da un’orchestra (sì, ma di pazzi), vista la perizia dei nostri
musicisti.
Sogni o bisogni è bizzarra tanto nella musica quanto
nel titolo, e ci traghetta verso Tradimento, una sarcastica poesia in
musica sull’infedeltà: “Perso nel buio, poi una fuga di luce esplode in cielo
in mille stelle. Notte cupa, conducimi al giorno, ai bagliori del mattino, con
un tiepido breve sorriso. Tra gioie e dolori, tra donne e uomini, tra donne e
donne, tra di voi, tra di me, tradimento. Ma è festa, è tutto consentito. E
diamo la colpa a un dito di vino, di vino, divino.”
C’è spazio anche per
il francese di Deux heures de soleil che in realtà di francofono ha solo il
titolo, per Momento morto che defunta non lo è per nulla (“Se tocco il
fondo è per risalire a galla”), e per l’originalissima cover di Bowie Heroes,
che nella sua seconda parte ha il merito di rendere il pezzo più brioso senza
stravolgerlo.
We want Bianchi è l’unica traccia accompagnata da
percussioni, ed è vivace, con De Leo che invece di articolare parole sterili si
diverte (e ci diverte) farneticando suoni con quel magnifico strumento che è la
sua voce.
Non una pietra miliare
della musica, non una stravaganza qualsiasi, non un insieme di canzonette
orecchiabili. Ma una smisurata eruzione di bravura e novità.
Voto: 8/10
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