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martedì 12 maggio 2015

Pino Daniele, "Nero a metà"



Da tempo avrei voluto parlare di questo disco. Ma il momento sembrava sempre essere quello sbagliato. Vuoi perchè stavo ascoltando cose completamente diverse, vuoi perchè la trasformazione musicale di Pino non mi garbava molto, vuoi perchè era scomparso da poco; mi era sempre apparso inopportuno accostarmi a questa splendida opera.
Oggi questo senso di inappropriatezza del tempo è venuto meno, e mi sento di buttare giù due righe per uno degli album che hanno segnato la mia infanzia e prima adolescenza.
Vi è mai capitato di viaggiare sull'auto di vostro padre che tiene nel lettore per giorni, a volte mesi, lo stesso disco? Sono certo di si.
A me capitava, e capiterebbe ancora (non fosse che lo stereo nell'auto di papà non funziona più), spesso. E il più delle volte se fortunatamente non c'era qualcosa dei Pooh (non me ne vogliano i loro tanti fan) allora c'era Nero a metà di Pino Daniele. Per cui credo di aver ascoltato queste canzoni centinaia e centinaia di volte prima di invaghirmene e di coglierne l'importanza. E grazie a Dio a mio padre non piacciono solo i Pooh!
La malinconia acerba di uno "scugnizzo" napoletano dalla voce peculiare ed espressiva intrecciata alle note della sua vibrante chitarra, riecheggiante ritmi americani, ora blues, ora soul, ora funky... che dire, un vero uragano di rinnovamento nella canzone italiana, impantanata in quegli anni (parliamo dei primissimi ottanta) tra paillettes di gruppi quantomeno monotoni. E se escludiamo la scena cantautoriale, che in Italia ha quasi sempre avuto una buona salute, e lo sperimentalismo dei Napoli Centrale, in quel periodo musicalmente parlando il nostro paese era quasi nell'oblio rispetto all'Inghilterra e all'America che producevano super gruppi, i quali avrebbero segnato la storia del rock e non solo.
In mezzo a questo nulla risultante dalle macerie della canzone popolare prima, e del gaudente prog rock italico poi, spunta una scena napoletana che promette qualcosa di nuovo. Che conosce i grandi miti della chitarra, del blues, ma che non si dimentica delle proprie radici.
Pino Daniele è stato indubbiamente il più alto esponente di questo genere, e prima di lasciarsi andare ad "esperimenti" un pò troppo poppaioli e latineggianti (molto Santana's way per intenderci) ha segnato un solco originalissimo nella nostra cultura musicale, dal quale sono germogliati brani indimenticabili .
Tornando a me e alla macchina di mio padre, culla del mio svezzamento musicale, già a otto o nove anni non riuscivo a non sentirmi coinvolto quando dall'altoparlante veniva fuori una voce che sbraitava " A me me piace o Blues e tutt'e juorn aggià kantà!"
Quella di Pino era un'energia speciale, che solo i veri artisti riescono a trasmettere. La sua inadeguatezza la esprimeva in testi forti, così forti che anche le persone più semplici, come me che all'epoca ero solo un bambino, riuscivano a sentirla. Ecco perchè il popolo lo ha sempre amato. Perchè Pino parlava con loro, e spesso come loro.
Quando c'è una storia dietro ad una canzone, riesci sempre ad intuirne l'intensità. La musica non si fa col bilancino o con le regolette dei professoroni, ma con "il sangue e il sudore". Questa è la sola musica che ho voglia di ascoltare. E questo è quello che ci racconta il testo di "Musica, musica" un'altra delle mie canzoni preferite da bambino, tanto che quando andavo a scuola ne scrivevo qualche verso sulla lavagna. "Con la musica, musica posso dirti anche no". Tipico di chi si è sempre sentito un pò sfigatello e ha trovato nella musica il solo modo per riscattarsi.
Ma oltre i testi, quello che più colpisce delle composizioni di Daniele è la melodia. Una melodia superba che pesca dalla migliore tradizione del Blues ma che non disdegna affatto le atmosfere più prettamente mediterranee (ascoltasi I say i'stò ccà) creando un connubio sonoro che si fa a volte più drammatico e poetico (Appocundria) e altre più spavaldo e rockettaro (Puozza passà nu guaio).
Il tutto accompagnato naturalmente dalla caratteristica chitarra del cantautore partenopeo, inconfondibile.
Qualcuno ha paragonato Pino Daniele a Jimy Hendrix, in un ottica tutta italiana ovviamente. Non voglio scomodare il più grande chitarrista di sempre, ma di sicuro Pino Daniele è stato uno dei pochi in Italia a tentare di seguire la sua lezione. Ha dato un carattere musicale internzaionale alle sue canzoni, e ha scritto tante piccole poesie sulla condizione di un uomo, spesso dell'uomo, disegnando con parole semplici grandi orizzonti per chi lo avrebbe seguito. 
Perchè Pino era proprio come questo suo album. Era forte e fragile al tempo stesso, era incazzato ma anche indifeso, era spavaldo ma anche dolce, ironico e gioioso eppure  triste. Suonava come un bluesman americano ma cantava in napoletano,  aveva un corpo robusto ma una voce acuta e suadente. Infondo lui uno a metà lo è sempre stato. E questo album lo descrive meglio di qualunque altro, proprio così com'era: Nero a metà.

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