Sovente mi interrogo riguardo l’opportunità di continuare a scrivere
nonostante la pressoché nulla condivisione che nell'ultimo periodo riservo alle
mie pagine. Devo ammettere che la spinta propulsiva derivante dalla
consapevolezza che qualcuno legga è assai intensa, e non vorrei che la mia
apparisse come un’aperta ammissione di mancanza d’audacia.
Non che io mi ritenga un ardito, ma sarebbe ad ogni modo improprio
imputare alla mia insicurezza e pavidità una tale scelta. Essa discende piuttosto
dall'impossibilità di potermi esprimere in un contesto che reputi adeguato,
così ché preferisco donare queste mie considerazioni all'oblio della mia sola
coscienza, questa sconosciuta. Né m’inganno, sebbene tale prospettiva carezzi
la mia narcisistica immaginazione di tanto in tanto, che le mie divagazioni
possano venire riscoperte in un futuro (magari non troppo lontano) da qualche
“archeologo del web”, amante delle lettere e della riflessione.
Se la parola è innanzitutto linguaggio, il linguaggio comunicazione, e
la scrittura una delle più sofisticate forme di questa comunicazione, mi si
obietterà che non ha alcun senso scrivere senza condividere ciò che si è
scritto. Lungi da me il voler contraddire in maniera totalizzante questo
asserto, mi è impossibile e inoltre una sì fatta contraddizione si rivelerebbe
in tutta la sua ipocrisia. Dico solo che scrivere con autenticità, pur sapendo
che quasi nessuno leggerà, si può fare e ha molto senso, senza che con questo
si cada nel mero individualismo o addirittura nell'autoreferenzialità.
Giacché la nostra “interiorità” consta di miriadi di sfaccettature che
in un certo senso trascendono i limiti del nostro corpo, pur rimanendovi
saldamente ancorate, e ancora, poiché suddetta interiorità è assai composita e
parzialmente mutevole, si converrà con me che non v’è assolutamente nulla di
assurdo nel dialogare con se stessi; in effetti è ciò che facciamo
quotidianamente, pur senza usufruire di un mezzo esteriorizzante come la parola
detta o la scrittura. Ci basta il pensiero, o, come direbbe qualche moderno
studioso di neuro-scienze, un insieme di algoritmi. L’ “Io narrante”
interverrebbe poi a mettere in ordine le infinite caselle del nostro cruciverba
senza soluzione, e a dare un senso a ciò che un senso non ha.
Ma, tralasciando per una attimo le dispute riguardo il funzionamento
ultimo della nostra coscienza o del nostro sistema nervoso, ciò che mi preme
dimostrare in questa sede è che pensare, parlare, anche solo per e con se
stessi (magari evitando di essere tacciati per schizofrenici) è tutt'altro che
un procedimento egoistico, misantropo, e non necessariamente opportunistico. In
prima istanza, probabilmente, è un’esigenza connaturata alla nostra esistenza,
ed in quanto tale inevitabile. Il passo successivo, ovvero scrivere per se stessi,
non è poi così diverso dallo scrivere “per se stessi e per gli altri”.
C’è un pezzo di me dentro di te, chiunque tu sia e dovunque ti trovi,
così come io sono, forse per una milionesima parte, ciò che tu sei. Dunque,
dialogare con se stessi equivale, ovviamente in via incidentale ma non per
questo fasulla, a interloquire con
l’Altro. Ma chi è quest’Altro cui facciamo tanto spesso riferimento? Colui che
ci è più prossimo e più simile, ovvero l’altro essere umano. A ben vedere,
però, l’essere umano non è affatto qualcosa di scisso e di completamente avulso
da ciò che lo circonda: egli è anche ciò che lo circonda, le piante, gli
animali, l’aria, l’acqua, la terra, ecc.
Invece di guardarci intorno e cercare di riconnettere la nostra specie
ad un complesso e stratificato mondo animale e vegetale di cui è
ineluttabilmente parte integrante, senza per questo scadere in banali e poco
consapevoli slogan animalisti o ambientalisti, stiamo facendo sì che
l’Umanesimo, indiscutibilmente foriero
di grandissime conquiste per il nostro genere e parimenti padrino di uno dei
più grandi fraintendimenti mai partoriti (l’Uomo come centro e misura di ogni
cosa), venga superato nella direzione sbagliata: quella della tecnica che non è
imbrigliata da alcun valore umano né tanto meno dall'attenta analisi e dal
riguardo per i fenomeni naturali.
L’Umanesimo andrebbe invece profondamente integrato, rivisto,
rivoluzionato prendendo le mosse proprio da una profonda critica verso molti
dei valori che ha generato e portato all'apice, tralasciando di essere
rappresentativo esclusivamente di un frammento dell’ecosistema da cui dipende
la sua stessa esistenza.
Come conciliare la dignitosa preservazione del genere umano, ed in
particolare degli affetti che ci legano ai nostri simili, con la definitiva
rivalutazione del cosmo che ci attornia e pervade?
Questa è la più complessa questione sulla quale dovremmo sforzarci di
ragionare e tentare di proporre delle risposte, anche adoperando le più avanzate
tecnologie, facendo ricerca scientifica, inventando e lavorando, ma ricalibrando,
ove necessario in ogni momento, il tragitto che tali attività possono
imboccare. Il viandante deve interrogarsi continuamente sulle ragioni del suo
cammino per continuare ad avanzare e non lasciarsi cadere; poiché la “ fede
nella verità comincia con il dubbio in tutte le “verità” credute sino a quel
momento”.
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