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lunedì 6 febbraio 2017

Nello spazio di sette note

Immagine presa da internet

Tra le varie forme d'arte cui l'uomo ha dato adito e nutrimento nel corso della sua storia, la musica è la mia preferita. Non è una questione di campanilismo a prescindere, e non pretendo di definire una qualunque forma di preminenza tra un campo o un altro, tra quelle che sono le meravigliose e varie discipline artistiche: semplicemente la musica ha un posto particolare nel mio cuore, poiché suscita in me sensazioni che null'altro è in grado di risvegliare.
Forse ,in parte, ciò è dovuto al fatto di essere figlio di un "dilettante" musicista, di essere cresciuto in una casa dove il sapore della domenica era accompagnato dalle note di una canzone, dove strumenti e dischi sono sempre stati parte integrante della quotidianità. In più sono un pessimo disegnatore, un ridicolo ballerino (quelle poche volte in cui ho osato muovere qualche passo ritmato, sembravo sempre un bradipo sotto l'effetto di allucinogeni), e per quanto concerne la scrittura, bé con tutto il rispetto per le lettere, ma le note hanno un impatto molto più devastante sulle nostre emozioni.
C'è uno spazio, tra una nota e la seguente, che tiene in sé molti più segreti di quanti ne possa svelare una frase: in quello spazio milioni di persone, divise tra loro da migliaia di chilometri, da esperienze personali e aspetti caratteriali, possono riconoscersi allo stesso modo. Cosa c'è di più potente del linguaggio musicale? Cosa riesce ad unire miriadi di volti amorfi, condensandoli in un'unica grande emozione? Sono pochissimi i retaggi dell'uomo che hanno questo immenso potenziale, e tra questi forse solo la religione e gli ideali possono battersela alla pari con la musica. Purtroppo, però, sempre più spesso la religione e gli ideali sono fulcro di divisioni, talvolta anche aspre, oltre che di unione.
Effetto collaterale che, fortunatamente, la musica non conosce.

sabato 4 febbraio 2017

Vuoi la verità?


Quando avevo quattordici o quindici anni scrivevo spesso. Molto più alacremente di quanto non faccia adesso. Avevo sempre qualcosa da dire su ogni argomento, perché m’illudevo di conoscere “la verità”. Quello che era giusto o sbagliato, bello o brutto, per me era facilmente distinguibile all’epoca.
Oggi, paradossalmente, sono molto più insicuro di quando ero ancora un adolescente.  “The more you see, the less you know”, c’è qualcosa di terribilmente vero in questa frase banale. Almeno nel mio caso.
Le “chiacchiere vuote” hanno perso rilevanza nel mio modo di intendere le cose, ed ha acquisito enorme preponderanza “il fare”. Ho smesso di idolatrare i  miti della parola scritta, della filosofia, del pensiero, ed ho cominciato a spostare la mia attenzione sulla gente che fatica ogni giorno, e che con il suo sudore conduce un’esistenza “normale”, ai limiti della banalità. Una vita fatta di sacrifici incastonati con momenti di tenerezza ed effimera gioia. I miei eroi sono i padri e le madri di famiglia che lavorano, crescono la propria prole, si divincolano tra le redini di una società ingarbugliata e fatua.
Che senso ha occuparsi di ciò che va oltre queste tematiche?
Qui, tra questi anni di vita spesi nell’ordinaria routine del lavoro (o della sua ricerca), dei lutti, delle nascite, delle tasse da pagare, degli esami da superare, delle malattie da affrontare, si cela tutto ciò che di più alto e basso possa esserci nell’animo umano. Non mi interessano le storie straordinarie, mi interessano quelle ordinarie, quelle che tutti potremmo avere.
Ecco perché non scrivo più tanto, e come prima: le parole non mi attraggono quanto una volta, i fatti le schiacciano con il loro peso inevitabile.
Mi sveglio ogni mattina, e mi chiedo come possa migliorare la mia vita, e quella di chi mi sta attorno: non trovo risposta più adeguata se non quella di sforzarmi, di fare, di esserci nei momenti brutti e in quelli belli. Esserci, come una roccia che resiste tra le violente onde di una mareggiata, che si sgretola sì, ma poco a poco, senza lasciarsi spezzare. Non ho ambizione più grande che essere quella roccia.

Le verità assolute ed elevate le lascio a chi ha bisogno di  carezzare il proprio ego: le persone di cui ho stima sono quelle che percorrono una via disseminata di buche da saltare, e dossi su cui salire. E in questa vita “la verità” la si scopre passo dopo passo, incontro dopo incontro, risalita dopo caduta, e non è un insieme di piccole o grandi rivelazioni, ma la sintesi di un travagliato percorso personale, prima ancora che attraverso il mondo, dentro se stessi.