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lunedì 22 febbraio 2016

Gambatesa e Vipera: due facce della stessa medaglia?

Premessa: Gambatesa, le origini di un popolo e del suo territorio
Una località di nome "Gambatesa" appare nelle fonti storiche solo dalla seconda metà del XII secolo. La vita del nostro paese è dunque così, relativamente, breve?
Si sa che la storia è colma di sfumature, e affermare che non esistesse nessun nucleo abitato nei pressi dell'attuale centro urbano, sarebbe quanto meno affrettato e superficiale.
Ma partiamo dalle testimonianze "materiali": che si giri in un lungo ed in largo il nostro paese, che lo si indaghi da ogni punto di vista, è impossibile non notare quanto la sua sia una conformazione strutturale e geografica prettamente medievale. Per di più non sono presenti, all'interno del centro abitato, aree archeologiche antiche, né reperti d'epoca romana o sannita, nemmeno nei materiali di riporto con cui poi furono costruiti il castello e tutti gli edifici più antichi.
Abbiamo però, credo approssimativamente a 4-5 km dal centro urbano di Gambatesa e precisamente in Contrada Piana delle Noci, i resti di una necropoli romana, purtroppo ancora nascosta dalla terra.
Abbiamo inoltre un ulteriore indizio che ci porterebbe a dedurre che il nostro territorio sia stato abitato e frequentato sin dai tempi più remoti: il tratturo Lucera- Castel di Sangro, uno dei tratturi più importanti nella pastorizia, ma anche crocevia, punto cardine e di passaggio tra i territori montuosi abruzzesi e le floride pianure della Puglia. E voi saprete meglio di me dell'importanza che questo tragitto ha ricoperto nel corso della storia, ancor prima della venuta dei romani. E sebbene non possiamo essere certi che il tratturo abbia continuato ad essere praticato e praticabile, almeno durante la prima parte del medioevo, appare quanto mai improbabile che un percorso che sia arrivato con tutta la sua fama sino ai giorni nostri, fosse stato del tutto ignorato e lasciato in disuso dai nostri avi nel medioevo.
Da questo momento in poi c'addentreremo nel campo delle ipotesi, ma badate bene che si tratta di ipotesi suffragate da varie fonti e soprattutto dalla logicità delle loro motivazioni.

Vipera e Gambatesa


Dicevamo che dalle fonti non abbiamo notizia di Gambatesa prima della seconda metà del XII secolo.
Abbiamo però vari riferimenti, precedenti al periodo sopra citato, ad un abitato di nome Vipera, più precisamente "Guiperanum".
Ebbene cosa centra Vipera con Gambatesa, vi chiederete. Si dà il caso, e chiunque sia nativo del nostro borgo lo sa bene, che proprio difronte al nostro paesino si erga una collinetta dalla forma peculiare, da tutti chiamata "Toppo della Vipera".
Vi sembrerà che io stia forzando i termini della questione, in quanto una semplice omonimia non può bastare per dimostrare alcunché. E in effetti avreste ragione, se solo non ci fossero alcuni punti interessanti, che vi vado ad elencare.
Nelle fonti scritte la nostra Vipera è sempre citata senza Gambatesa, e cronologicamente prima di essa. Meno un caso: in questo specifico caso, riportato da Francesco Rossi prima, da Franco Valente (grazie al quale ne sono venuto a conoscenza) poi,  in un  appunto ripreso dai "distrutti Registri angioini" si legge che nel 1330 Margherita di Gambatesa, moglie di Riccardo Caracciolo e figlia di Riccardo di Gambatesa, possedeva il "castrum" di Gambatesa e tra gli altri quello di "Tofarie et Vipere".
Appare singolare che l'unica volta in cui Gambatesa e Vipera sono citate contemporaneamente, esse siano in qualche modo strettamente correlate tra loro, vuoi per una vicinanza territoriale, vuoi per i feudatari che ne traevano le sorti.
Il buon Franco Valente, che a differenza mia ha fatto una vera e propria ricerca storica e ha già discusso di queste tematiche nel suo volume dedicato al castello, si è recato al nostro "Toppo della Vipera", spinto dalla possibilità di rinvenirvi i resti dell'antica Guiperanum, è ne è tornato vedendo i suoi dubbi "aggravati dopo un'attenta ispezione dei luoghi...." infatti "con esclusione dell'impianto di una piccola cisterna-serbatoio, non sono stato capace di trovare una benché minima traccia di una muratura di qualunque tipo". 
Valente continua affermando che sebbene l'ultima volta in cui Vipera sia stata menzionata risalga a settecento anni fa, appare strano che non vi sia alcuna sua traccia. 
Dunque Vipera doveva trovarsi in un altro luogo, oppure... oppure potrebbe  aver rappresentato un primitivo nucleo abitato dell'odierna Gambatesa, in epoca longobarda chiamata Guiperanum, e da cui ha preso nome il vicino "Toppo". Questo è possibile, ma ad oggi non è dimostrabile, e a me non pare del tutto logicamente accettabile, almeno in questi termini.
Ma se proviamo ad immaginare che i primi abitanti dell'odierna Gambatesa provenissero da un altro luogo ad essa attiguo, magari chiamato Vipera, e che si fossero spostati, vuoi per motivazioni geo-politiche, alimentari, climatiche, per danni provocati da terremoti o frane, verso l'altura che oggi ospita il nostro villaggio, allora tutto appare più plausibile.
Torniamo per un attimo al Toppo della Vipera. Se è pur vero che non è stato rinvenuto alcun reperto in zona, è altrettanto vero che la ricerca si è soffermata solo sul colle specifico, e non è andata oltre, nelle zone adiacenti. Dietro il suddetto colle esiste una necropoli romana, che non disterà più di un paio di km dallo stesso. Che la zona sia stata abitata anche successivamente? Potrebbe essere.
Ma indaghiamo più affondo questo Toponimo: perché Vipera?
Il culto della vipera e, più precisamente, quello della Vipera Anfisbena, mitico serpente dotato di due teste, era largamente diffuso tra i longobardi, e specie nel territorio giuridico beneventano, di cui all'epoca il nostro Fortore faceva parte. Come non supporre dunque che tale nome sia strettamente legato al periodo di frequentazione longobarda? 
Degli insediamenti longobardi, seppur minimi, dovevano essere presenti in quella zona, tanto più che nelle sue vicinanze fu poi costruita la chiesetta oggi intitolata alla "Madonna della Vittoria". Ci siamo mai chiesti come mai quella chiesa si trova proprio lì, in un luogo evidentemente diverso e relativamente distante dall'attuale centro abitato? Se teniamo presente che San Barbato, fece di tutto per sopprimere il culto idolatro della vipera, possiamo immaginare che la chiesetta della Madonna della Vittoria sia stata posta in quel luogo proprio come "rimedio" alle credenze, che visto il nome del colle, dovevano lì essere fortemente radicate. Non è da escludere che l'edificio potesse essere in un primo momento collegato proprio al culto della vipera, prima di esserne "liberato" e ristrutturato dall'ortodossia della fede cristiana. Ma se c'era una religione, doveva anche esserci qualcuno che la praticava o che comunque ne seguiva i precetti. 
Ecco che torna calda l'idea che una Vipera esistesse, e che fosse nei pressi dell'attuale Gambatesa. E che forse gli abitanti di questo antico borgo furono i primi ad insediarsi sull'altura su cui oggi sorge il nostro bel paese. 
Tutto quello che ho detto non è dimostrabile, ma di certo è ragionevole e in un certo senso intrigante.
Ad ogni modo, ai posteri l'ardua sentenza!

giovedì 18 febbraio 2016

Festival di Sanremo 2016: Cosa resterà?

Torniamo a discutere di qualcosa di più leggero.
Anche se amo altri generi e contesti musicali, è mia abitudine seguire il Festival di Sanremo, non fosse altro che è l'unico momento in cui la televisione statale si concentra principalmente sulla musica dal vivo. Al riguardo, tra l'altro, non posso che consigliare a chiunque abbia problemi a prendere sonno e sia amante della buona musica, di sintonizzarsi su su Rai 5 verso la mezzanotte. Qui spesso a quell'ora mandano in onda documentari e concerti di artisti che hanno fatto la storia della musica, e che, con tutto il rispetto, hanno poco da spartire con gli artisti dei giorni nostri, che si recano a Sanremo.
Ma bando alle ciance, e basta fare i criticoni. Cercherò di parlare di quest'ultimo Sanremo esulando, per quanto possibile, dai miei gusti personali, che sono evidentemente molto distanti da quelli proposti dalla Kermesse in questione.
Partiamo però dalla conduzione: quattro persone che si occupano di questo aspetto sono palesemente troppe, soprattutto se due di queste risultano quantomeno irrilevanti nel loro apporto dato al programma. Ovviamente sto parlando di Madalina  Ghenea e Gabriel Garko. Due bellissimi ragazzi, per carità (specialmente la Ghenea), ma noi pubblico avremmo fatto volentieri a meno di vedere queste comparse, spesso (soprattutto nel caso di Garko) impacciate e fuori luogo; e altrettanto bene avrebbe fatto la loro assenza alle casse della Rai, e conseguentemente alle nostre. Soldi buttati, diciamocelo.
Bene invece Carlo Conti e Virginia Raffaele. Il primo ha saputo, come sempre, mantenere un bel ritmo, nonché un naturalissimo e piacevole aplomb, che ne fanno ad oggi il miglior conduttore italiano. Magari un conduttore un po' "piatto", ma forse il ruolo di chi conduce questo tipo di manifestazioni è proprio quello di essere presente ma non "invadente". Infondo si sta pur sempre parlando di una gara tra canzoni, tra artisti, quindi è bene che il conduttore sia funzionale a questo fine, e non viceversa.
Per quanto riguarda la Raffaele, lei è probabilmente stata il vero "pepe", la mossa televisiva azzeccata di questo Sanremo. Memorabile la sua parodia della Fracci, un po' meno quella della Versace e delle altre messe in scena. Ad ogni modo un "brava" se lo merita tutto, tralasciando ovviamente i cachet ancora esorbitanti e vergognosi che percepiscono i conduttori e gli ospiti.
Passiamo proprio agli ospiti allora: tra i grandi nomi è da segnalare solo quello di Elton John, con la sua buona esibizione. E poi, ovviamente, il magico intervento di Ezio Bosso, con parole d'amore per la musica e grandi insegnamenti di vita, sui quali non ritorno poiché se n'è ampiamente parlato.
"Sciapite" le altre ospitate, soprattutto non riesco a capire perché continuino ostinatamente ad invitare attori che non hanno nulla da dire, regalandogli altri soldi, oltre a tutti quelli che già hanno, per venti minuti di chiacchierata insulsa.
Infine, passiamo alle canzoni: non me n'è piaciuta nemmeno una, ma come ho già detto, devo sgombrare la mente da quello che ascolto di solito e cercare di giudicare in maniera oggettiva.
Allora benino i rapper, Rocco Hunt e soprattutto Clementino, che hanno riproposto tematiche sociali ritrite, un po' banalizzate, ma che sembrano averlo fatto in maniera sincera, con pezzi simpatici. Benino i vincitori Stadio, se non altro perché a differenza di molti altri, hanno alle spalle anni ed anni di concerti e di contatto diretto con il pubblico. E poi anche perché mio padre metteva sempre una loro cassetta in macchina, quand'ero piccolo.
Benino Dolcenera, non per la canzone, come sempre abbastanza odiosa, ma per la sua magnifica voce ed ottima esibizione. Bene Elio e le Storie Tese, che si riconfermano grandi musicisti e riescono anche a farci sorridere.
Non pervenuti tutti gli altri. Onestamente non ce la faccio proprio a parlare bene di canzoni che mi lasciano tanto indifferente.
Simpatico il pezzo di Francesco Gabbani, vincitore tra le nuove proposte, e una menzione particolare per il giovane Ermal Meta, che a mio parere ha presentato quella che rimane la canzone più bella di questo festival. Lasciando per inteso, che non è certo un pezzo che rimarrà negli annali.
Cosa resterà allora di questo Sanremo? Ovviamente nulla, ma faccio comunque i complimenti al lavoro di tutti gliu artisti e musicisti che vi hanno preso parte. Cantare e suonare bene non è mai frutto di un semplice caso.Detto questo Sanremo rimane inscindibilmente legato alla tradizione più classica della musica italiana, quella di Claudio Villa o Modugno per intenderci, quindi ha poco a che vedere con la musica moderna, e soprattutto con la buona musica moderna. Non mancano ovviamente le eccezioni, penso a Rino Gaetano con Gianna, o a Vasco Rossi, e tanti altri che si sono dimostrati al di sopra del "contenitore tradizionalista" di Sanremo. Ma ad oggi non consiglierei a nessun musicista che voglia fare musica "seria" di partecipare al Festival ligure, o quanto meno gli consiglierei di parteciparvi un po' come fece il buon Rino: facendo tutti "fessi e contenti". 

giovedì 11 febbraio 2016

Gli "ingessati" e i "disfattisti militanti".

Non molti giorni addietro ho assistito ad un interessante convegno, nel quale si è parlato, per farla breve, del futuro del nostro territorio e quindi di noi giovani.
Uno dei relatori, per la verità una persona che mi è parsa preparata sul tema e colta, ha però accennato ad una definizione rivolta ad alcuni ragazzi d' oggi, che non mi è piaciuta affatto, se non altro per il modo superficiale in cui è stata proferita: "gli ingessati".
Gli ingessati ,secondo questo signore, sarebbero molti dei miei coetanei (forse anche io), che non riescono o non vogliono porsi in maniera attiva e costruttiva nei confronti della società che li circonda.
Fin qui sono d'accordo, l'appellativo è assolutamente centrato. Perché è vero noi siamo, o quantomeno spesso ci sentiamo, degli ingessati, soprattutto rispetto a chi negli anni ottanta o ancora più addietro aveva la nostra età. Ma ci siamo posti la domanda, qualcuno dei nostri concittadini più in là con l'età, se l'è mai posta la domanda del perché di tutto ciò? Perché siamo così legati, immobili, inetti come lo Zeno del buon Italo Svevo?
Sempre lo stesso signore del convegno sosteneva di non volersi rivolgere a questo tipo di persone.
A parte che escludere a priori degli interlocutori, per di più ragazzi e quindi linfa vitale del nostro divenire, senza nemmeno ascoltare le loro opinioni, o almeno dargli la possibilità di esprimere le proprie presunte ragioni, è di per sé un atto fascista, e mi stupisce che a proferire questa sentenza sia stato uno che si è lasciato tranquillamente definire "compagno". Inoltre il nostro relatore si è dimenticato una fase fondamentale della costruzione di una risposta, e conseguentemente di una proposta: una domanda. Ovvero il nostro non si è chiesto la ragione per cui questi ragazzi, noi ragazzi siamo spesso "ingessati", e ci ha sbattuto in faccia le porte di ogni presa d'iniziativa.
Io credo che se molti di noi si sentono inermi nell'attuale situazione socio-economica-politica, la responsabilità prima debbano prendersela coloro che potrebbero essere i nostri genitori, zii o anche nonni. E no, non è la solita storia dello scarica barile, perché sono convinto che noi abbiamo delle pesanti responsabilità al riguardo, ma non possiamo ignorare il gravoso fardello della pedagogia, della forza dell'esempio, della necessità di un dialogo.
Mio padre da ragazzino partecipava alle manifestazioni, faceva il rappresentante d'Istituto, s'interessava alla propria contemporaneità. Anche io ho fatto queste cose più o meno come lui, ma ci divide un' enorme differenza: dagli anni novanta in poi i giovani hanno perso sempre più quel ruolo di voce sociale che rappresentavano prima, e lo hanno fatto anche e soprattutto perché nessuno dava più loro tanta importanza. Nessuno (o davvero qualcuno) ha dato loro il buon esempio, nessuno si è mai posto il problema che la società sprecona e immorale che stavano costituendo potesse porre le basi per la presunta "immobilità" giovanile in cui versiamo.
Non condivido l'atteggiamento di chi se ne frega del proprio presente, né lo giustifico. Io stesso mi sono scagliato spesso contro queste persone, ma non tanto per demonizzarli, quanto per tentare di risvegliarli, di risvegliarmi, dal torpore che ci circonda.
Pensionamenti a 50 anni, stipendi fissi e liquidazioni abnormi garantite senza dare alcuna garanzia, pensioni di invalidità regalate, parlamentari che hanno preso e continuano a prendere vitalizi  "vita natural durante", avendo lavorato (in molti casi rubato) si e no per una legislatura, consiglieri regionali che continuano a percepire 10.000 euro e rotti al mese mentre un'operaio, un piccolo imprenditore, un agricoltore, un "call-centerista" non arrivano a fine mese, e questi vengono a dirci che siamo degli ingessati??
Non è che prima queste cose non esistessero, ma di certo nel corso degli anni 60' fino ad arrivare ai giorni nostri si sono acuite terribilmente, fino a surclassare lo status di semplice fenomeno "occasionale". Questa ad oggi, e per almeno gli ultimi 40 anni, è stata ed è la normalità.
Allora per poter dire qualcosa che abbia un senso ed un peso, bisogna anche avere degli interlocutori eticamente  presentabili e rappresentativi. E diciamoci la verità, in molti casi (ovviamente questo non vale per tutti, lungi da me generalizzare) chi oggi ha 50 o 60 anni, e magari ha anche avuto la possibilità di legiferare e decidere in qualche modo delle nostre vite, non lo è.
E noi sì, questo è vero, dovremmo incazzarci molto di più, e costruire un' alternativa a questa deriva. E qui mi assumo tutta la mia, la nostra responsabilità.
Ah dimenticavo... sono stati citati negativamente anche dei presunti "disfattisti militanti". Evidentemente nella cornice di un convegno che tratta di proposte per il futuro non è possibile disquisire per ore su tematiche tanto delicate, ma è dovere della persona intelligente pesare le proprie parole: un conto sono quelli che dicono no a prescindere e sanno solo criticare, un conto sono coloro che si pongono giustamente delle domande, e approcciano in maniera critica alle proposte provenienti dall'alto.
Se non ci fossero stati certi "disfattisti militanti"  oggi saremmo ancora sotto la monarchia, o tutt'al più ad un regime totalitario, dove un qualsiasi idiota avrebbe potuto decidere a suo piacimento della sorte dei suoi consimili.
Ora che ci penso però, anche se all'apparenza tutto sembra più confortante e sbrilluccicante, non ci siamo poi così lontani.  

sabato 6 febbraio 2016

Un'idea di futuro, la consapevolezza del presente, la conoscenza del passato.

Ieri si è tenuto a Gambatesa un convegno dal titolo "Territori che pensano il futuro, il Fortore". 
Avrei dovuto leggere alcune mie considerazioni in quest'occasione, ma a causa di un contrattempo occorsomi durante gli ultimi minuti della discussione, e presa inoltre coscienza del fatto che molti dei temi che mi sarei apprestato a toccare erano già stati ampiamente discussi e s'era dunque passato a discorsi più specifici, non ho potuto farlo, e ho quindi pensato di riproporle sul mio blog. Quello che segue è il mio pensiero.

Quando il nostro sindaco, Carmelina Genovese, mi ha proposto di fare un piccolo intervento durante quest’importante occasione, in un primo momento mi sono sentito spiazzato.
 Sì, spiazzato perché oggi appare sempre più raro che un amministratore chieda ad un semplice cittadino, peraltro un giovane, di esprimere la propria opinione riguardo temi cruciali che ci riguardano tutti, come quello che si sta trattando qui oggi.
L’input che la nostra amministratrice mi ha dato, è stato il seguente: “cosa manca a voi giovani in un paese come il nostro? Sarebbe utile se un ragazzo come te dicesse la propria su questo tema.”
Ebbene è proprio questo il motivo per cui, nonostante la mia iniziale reticenza, ho deciso di non mancare quest’opportunità, scrivendo queste poche righe che mi appresto a leggervi.
Proprio perché la prima risposta che mi è venuta in mente riguardo alla domanda “cosa manca a voi giovani?” è stata la seguente: essere maggiormente coinvolti nel nostro presente e futuro, e conseguentemente, in quello del nostro territorio. E quando il primo cittadino del tuo comune, non solo ti offre l’opportunità di esprimere la tua opinione al riguardo, ma ti sprona inoltre a farlo, ritengo che sia un dovere non tirarsi indietro. Questo è il motivo per cui mi trovo qui a parlarvi, non in veste di esperto del settore, né di politico, ma in quanto semplice e giovane cittadino, che come voi ha a cuore il suo avvenire, e quello dei luoghi in cui vive.
Inutile negare che la piaga che maggiormente affligge la nostra terra è quella della mancanza di lavoro. Non sta a me dare soluzioni a questa problematica, poiché  non ne ho le competenze né le capacità, ma ritengo che le iniziative come quella odierna, che ci troviamo a discutere, vadano nella giusta direzione.
In un territorio che, come il nostro, non gode di una posizione geomorfologica favorevole, per la conformazione stessa delle nostre colline, monti e valli, e per la sua marginalità rispetto ai centri economici più importanti della Nazione, è a mio parere necessario puntare a valorizzare quello che abbiamo, piuttosto che a costruire quello che comunque non ci renderebbe tanto quanto rende in zone più centrali e adatte al suo sviluppo. E qui mi riferisco in particolare alla vocazione agricola e rurale del nostro territorio.
È allora giusto investire le risorse economiche che ci vengono concesse in due principali ambiti, a mio modo di vedere, tra loro correlati: la cultura e l’agricoltura.
Dunque incentivare un tipo di agricoltura, e perché no, di turismo gastronomico e culturale che potremmo definire “eco-sostenibile” diventa una priorità.
Cosa intendo per turismo ed agricoltura “eco-sostenibili”? Ebbene, un turismo ed un’ agricoltura che rispettino le conformazioni e le vocazioni del proprio territorio, e che le valorizzino senza stravolgerle. Un turismo ed un’agricoltura responsabili dunque, perché dobbiamo puntare a preservare quell’ ”incontaminazione” della natura, dell’arte, dei luoghi e dei prodotti, che contraddistingue l’intera nostra regione. Quando un turista, un passante o un semplice viaggiatore viene qui, quello che cerca è la purezza dell’aria e del territorio, la semplicità e bellezza dei borghi, la genuinità del nostro cibo e dei nostri vini. Ovvero tutto quello che ha difficoltà a reperire in altri contesti, come possono essere quelli delle grandi città o comunque delle regioni più densamente popolate.
E su questo, che dir se ne voglia, si può costruire tanto lavoro, basti pensare ai più noti esempi della Valle d’Aosta o del Trentino, dove un territorio stupendo è stato valorizzato enormemente, e dove molte persone vivono di turismo, cultura e agricoltura eco-sostenibili.
Detto ciò, al di là del discorso prettamente lavorativo, che sappiamo bene essere la motivazione principale per cui molti giovani vanno via da questa Regione, cosa manca (secondo me) a Gambatesa? Perché io e i miei coetanei abbastanza spesso decidiamo di spendere più tempo a Campobasso o altrove, piuttosto che qui? Forse abbiamo bisogno di più stimoli, che certamente in parte dobbiamo essere noi stessi a costruire, ma d’altro canto credo sia dovere di chi ci governa recepire le necessità della propria cittadinanza. Poi ovviamente sta a noi renderla una cittadinanza attiva e non passiva.
Ad esempio un’altra delle vocazioni di questo territorio, in particolare del nostro paesino, è quella della musica: sarebbe allora bello poter usufruire di un luogo in cui esercitare questa nobile arte, e con essa altri campi della cultura, come la lettura ed il cinema. Ovvero, sarebbe bello avere una struttura adibita a questi fini, dove i ragazzi possano incontrarsi, non solo per svagarsi, come purtroppo sempre più spesso accade solo nei bar e nei locali, ma anche e soprattutto per costruire qualcosa di importante riguardo al proprio futuro, al nostro futuro, e questo lo si può fare solo prendendo ulteriore consapevolezza del nostro presente, grazie alla cultura. E cosa sono la musica, la letteratura, il teatro, il cinema se non cultura?
Ecco cosa mi spronerebbe ulteriormente a passare molti dei miei pomeriggi qui, soprattutto nel periodo invernale, quando troppo spesso i nostri piccoli centri sembrano diventare quasi lande desertiche e desolate.
Abbiamo una struttura scolastica invidiabile, e forse tra non molti anni saremo costretti a vederla vuota a causa della decrescita demografica in cui versiamo. Rivalutarla e sfruttarla sempre di più anche nell’orario pomeridiano, come in effetti si sta già provando a fare, sarebbe di certo un’ottima cosa.
I ragazzi avrebbero una possibilità in più per suonare liberamente, vedere film, leggere romanzi, fare recite e spettacoli.
Ed oltre ad un castello di inestimabile valore storico-artistico, che a onor del vero l’attuale amministrazione sta già tentando di valorizzare il più possibile, avremmo anche un altro importante luogo d’incontro culturale.

Cos’altro posso aggiungere? Qualcuno potrebbe obiettare che il nostro futuro è in gran parte già deciso, ma a quest’affermazione potrei controbattere che siamo noi cittadini in primis, e i giovani più di tutti, a dover implementare e sorvegliare il lavoro di chi ci governa, ed è quindi troppo semplice scaricare le colpe della difficile situazione attuale solo sui politici e sugli organismi di governo, che pure dovrebbero essere i baluardi della giustizia economica e sociale, sebbene in molti casi siano solo i baluardi del proprio rendiconto personale. Dobbiamo imparare ad essere più civili, e a capire che i nostri interessi privati spesso coincidono con quelli del nostro prossimo, e solo perseguendo il bene collettivo potremmo raggiungere anche il nostro personale benessere. Non è una questione di buonismo o filantropia cristiana, ma di pura e semplice logica. E non lo dico io che sono solo un ragazzo qualunque, ma ce lo insegnano la storia e i suoi protagonisti. Armiamoci dunque di buona volontà e d’ impegno civile. Una delle mie massime preferite è “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Tentare di seguire questa semplice regola ci aiuterebbe a dare valore alla nostra terra, ai nostri usi e costumi, ai nostri concittadini, e in ultima analisi, a noi stessi.

martedì 2 febbraio 2016

Quelli come te

Un paio di strofe (quelle che mi ricordo) da una delle canzoni che ho scritto tra i sedici e i diciott'anni... Dedicate a quelli che.. ogni tanto si sentono così:

Quelli come te non servono a niente,
cantano i sogni finiti della gente,
guardano in fondo al mare e sognan di trovarci pietre rare

Quelli come te sono  un pò strani,
li vedi sempre fare gesti con le mani,
parlano con le nuvole e talvolta credono anche alle favole

però...

"And I must be an acrobat, to talk like this and act like that"