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lunedì 14 gennaio 2019

Sensibili. Non buonisti

La scorsa vigilia di Natale mi trovavo a casa dei miei zii a Campobasso. Come tutti gli anni, avremmo festeggiato tale ricorrenza riunendo la famiglia, ma in questa occasione si era deciso di anticipare il classico cenone per l'ora di pranzo, permettendo così anche a mia madre, la quale avrebbe dovuto prendere servizio alle 21.00, di parteciparvi con la dovuta calma.
Durante il pomeriggio, a seguito del lauto pasto a base di pietanze di pesce della tradizione (tra queste l'immancabile baccalà), mi ero adagiato sul divano, satollo e assonnato.
Con la puntualità di un orologio svizzero, mia zia mi chiede se voglio accompagnarla a ritirare la sfoglia per le lasagne che preparerà l'indomani. Dopo qualche blanda protesta esteriore, e molte altre, più aspre e durature, interiori, acconsento svogliatamente.
Giungiamo al pastificio in centro, dinanzi al quale mi parcheggio, e decido di accendermi una sigaretta mentre attendo mia zia che si appresta a ritirare il fragrante impasto.
Un ragazzo di colore mi si avvicina chiedendomi qualche spiccio. "È Natale", mi dice. Ci penso un attimo, ricordo che non ho spicci con me, gli chiedo se vuole una sigaretta ma lui mi dice che non fuma. Decide allora di domandare ad un signore sulla sessantina che nel frattempo sta attraversando la strada, ma quello s'innervosisce e non gliele manda a dire: "e che cazzo, pure a Natale!" Mi guarda mentre proferisce queste parole, cercando una sorta di spalleggiamento, ma io, imbarazzato e colto alla sprovvista, mi volto dall'altro lato, senza dargli retta.
Se vivete a Campobasso o nei dintorni vi sarà certamente capitato di incontrare diversi ragazzi di colore all'entrata di alcuni supermercati. Il più delle volte sono persone pacifiche e nemmeno troppo insistenti, che chiedono qualche monetina, talvolta in cambio di un accendino o qualcosa del genere.
Sempre a Campobasso, se, come immagino, occasionalmente vi recate all'ospedale Cardarelli, avrete certo avuto modo di conoscere dei venditori ambulanti perlopiù di origini partenopee. Vendono calze. Alcuni di questi sono tanto simpatici quanto insistenti, e a volte riescono a convincere i miei genitori, persone affabili, a prendere qualche paio di calze, anche quando non sono strettamente necessarie.
Gli stessi venditori li potete trovare nei parcheggi di uno dei centri commerciali più noti della città.
Mi capita, di rado, di recarmi a Roma con il treno. Quando arrivo alla stazione Termini spesso vengo circondato da due o tre individui, in genere donne, presumibilmente di origine slava, che vogliono aiutarmi a fare il biglietto di ritorno con una delle macchinette preposte. In cambio chiedono qualche monetina. Sempre per le strade di Roma incrocio continuamente clochard, presunti o veri invalidi, e qualsiasi caso umano che richieda un contributo economico. Ci sono italiani, bengalesi, francesi, africani, slavi, e di tutto un po'. Alcuni sono di una tremenda insistenza, altri chiedono e poi si allontanano pacificamente.
Tornando all'episodio della scorsa vigilia, voglio fare una considerazione cercando di esulare dal facile moralismo che si presterebbe magnificamente, e in maniera letteraria, a chiosare il mio scritto con una frase del tipo "ma è Natale, non siamo tutti più buoni?". Ebbene mi è dispiaciuto che quel ragazzo sia stato apostrofato in tal modo dal signore. Mi sono sentito solidale nei suoi confronti, se non altro per i modi burberi utilizzati. Per quanto potessi intuire anche l'inopportunità evidentemente recepita dal brizzolato cittadino, sarebbe bastato dire di no. Quella esasperazione me l'attendo da un romano costretto a divincolarsi ogni giorno tra falsi e veri bisognosi, un po' meno da un campobassano che, tutto sommato, risente ancora parzialmente di tali problematiche.
Ma di là da questo, e da tutte le considerazioni possibili di carattere generale, vorrei solo porre l'accento sull'impossibilità di bollare etnicamente la "questione del bisogno".
Prima di suddividerci in popoli e culture diverse, siamo derivati da antenati comuni, e apparteniamo tutti al genere umano.
Umani, dunque.
E "restare Umani", o forse imparare ad esserlo, è l'ardua missione che ci si pone dinanzi.
Ambirei ad avere governanti che nell'affrontare le complesse questioni inerenti l'apparato statale, seppur nell'evidente impossibilità di far tutti felici e contenti, traggano le mosse dal sincero convincimento che non esistono a priori nemici da combattere, ma altri individui come noi da trattare anzitutto in quanto tali.
Ciò non per le impellenze buoniste di un giovane provincialotto che non sa nulla della vita, ma per una semplice questione di buon senso, di conoscenza, di sapienza.
E se non è chiedere troppo (ma evidentemente ad oggi lo è), di un briciolo di sensibilità.

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