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mercoledì 21 settembre 2016

"Francesco di Bella & ballads Cafè"



Dopo aver "attraversato" lo stretto della manica per disquisire amabilmente di alcuni protagonisti musicali di quei luoghi piovosi ed umidi, mi sento di tornare alle colline e agli orizzonti nostrani, non meno bagnati ultimamente.
Torniamo in Italia, ma in effetti, almeno figuratamente, non ci allontaniamo troppo da quelle atmosfere dense di nebbia e pioggerellina battente, tipiche delle terre britanniche.
Già, perché l'egregio lavoro di Francesco di Bella, ("Francesco di Bella & Ballads Café") ha più il suono del vento mentre addensa le nuvole, che del sole che le dirada.
I cantanti malinconici mi sono sempre piaciuti tanto: in realtà non oso nemmeno immaginarlo un'artista che non sia melanconico; sarebbe come vedere un leone che non ha fame, una lepre che non corre, un pesce che non nuota. In sintesi, sarebbe il venir meno di un istinto naturale, senza il quale ognuno di questi animali non sarebbe ciò che è in realtà. E per come la vedo io un artista o è malinconico, o semplicemente non è. Punti di vista.
Venendo a noi, e alla musica, ci troviamo difronte ad undici brani, per lo più acustici e in dialetto napoletano, confezionati con maestria e cura, ma soprattutto scritti sull'anima e cantati con la pancia e con cuore.
L'empatia ha molto a che vedere con quello che amiamo o meno, e canzoni come "Vesto sempre uguale", "La costanza", "Luntano" "L'alba" riescono a suscitare in me un'inconsueta unità di vedute e sentimenti col cantautore partenopeo. Francesco di Bella si mostra, a mio parere ancora meglio di quanto avesse fatto con i 24 Grana, come arguto autore, grande interprete, e fine musicista.
La semplicità strutturale della sua opera, e il fatto che senza alcun orpello stia in piedi perfettamente, denota una bravura sopra alla media, e una sensibilità fuori dai canoni della normalità.
Con il suo volto giovanile e fresco, nonostante un' età non più giovanissima,come un novello Peter Pan, Di Bella attraversa, senza alcuno sforzo e con considerevoli risultati, tutte le sfumature che sono la cifra del suo stile musicale: dal folk di matrice americana ("Accireme"), passando per le atmosfere New wave inglesi, il Reagge, la canzone d'autore italiana (con tanti riferimenti musicali al conterraneo Pino Daniele), fino ad arrivare alla tradizionale canzone popolare napoletana, intrisa di quella tristezza viscerale, che così bene racconta le sfumature più profonde dell'animo umano.
Se pensate che la frivolezza sia l'essenza della vita, sebbene non avrete mai il coraggio di ammetterlo, lasciate perdere questo disco, lasciate perdere questa "recensione". Il blog di Selvaggia Lucarelli, o chi per lei, saprà sicuramente rendervi più incoscienti e felici, così come le canzonette di Justin Biber.
Ma se avete voglia di conoscere e condividere gli stravolgimenti e le dinamiche del nostro lato più recondito, per tornare in superficie un po' più maturi e consapevoli, o semplicemente, se avete voglia di ascoltare qualcuno che "canta pe' nun suffrì", allora mettete su questo disco, e magari  accompagnatelo ad un buon bicchierino di vino nostrano. La vostra salute, mentale e fisica, ve ne sarà grata.

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