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domenica 30 dicembre 2018

I Maitunat di Gambatesa: il soffio di una tradizione


Manca un solo giorno alla celebrazione del rito plurisecolare delle "Maitunant", palesemente la tradizione più sentita dalla maggioranza dei gambatesani.
Tradizione, dal latino traditio-traditionis: "consegna, trasmissione" (dizionario Treccani). Trasmettere memorie, testimonianze, usanze così come le si conoscono.
Il mutare degli individui e della società s'insinua inevitabilmente nel mutare delle memorie, delle testimonianze e delle usanze: nessuna tradizione può svincolarsi da questo genere di modificazione, anzi essa si manifesta come presupposto vincolante della sopravvivenza della tradizione stessa, strumento indispensabile affinché rimanga arginata a quello che potremmo definire "immaginario collettivo": così le maitunate che si realizzano oggi nel nostro paese sono ovviamente differenti da quelle che, come lascia presumere un antico documento, si facevano già nel 1570, e da quelle ancor più antiche che con ogni probabilità affondano le proprie radici nei canti di questua da una parte, e nella cultura pastorale dall'altra.
Tutti i gambatesani che abbiano a cuore questa tradizione sanno che l'estemporaneità delle liriche, il marchio di fabbrica degli stornelli nostrani, così come l'esecuzione musicale che l'accompagna, sono espressioni prettamente novecentesche, delle quali tutt'al più affiorano i primi germi nella seconda metà dell'Ottocento.
Eppure, come rimarcato sin dal principio, nulla conosciamo, ad oggi, di come fosse strutturata e si manifestasse esteticamente la produzione di una maitunata originale del 500', o ancor prima.
Conosciamo, questo sì, quelle che noi definiamo "maitunate antiche", preservatesi grazie alla testimonianza dei più anziani della comunità, all'impegno e alla ricerca storico-popolare dell' Associazione Culturale  "I Maitunat" di Gambatesa ed altri appassionati concittadini, che si prodigano annualmente per conservare questo folclore e donarlo ai posteri. Tali forme antiche, che al fianco delle evoluzioni più recenti vanno rievocate e custodite, difficilmente, però, possono essere giunte immutate a noi attraversando diversi secoli.
Il punto, quindi, non è tanto ricercare la forma, per usare una brutta parola, primitiva della nostra "saga tradizionale", quanto preservarne lo spirito più autentico con cui ci è stata trasmessa.
Per sopravvivere, per perdurare, inevitabilmente le usanze tipiche cambiano, avviluppandosi al mutare delle società che le danno rappresentazione.
A ben vedere la fortuna delle maitunate di Gambatesa, rispetto a quelle (seppur diffuse ma meno partecipate da residenti ed ospiti) di altri comuni regionali sta proprio nel traslare dei modi e della forma, tentando, impresa mastodontica, di mantenere intatto lo spirito che lungo i secoli ha percorso questa tradizione e con cui i nostri avi ce l'hanno consegnata.
E allora è ai più giovani che mi rivolgo, vedendo in loro la gioia e la grande attesa per tale manifestazione, ma scorgendo ad un tempo il pericolo che la competitività, per quanto foriera di un sano tentativo di accrescimento musicale e canoro, soverchi il senso ultimo del rito, che si sedimenta su tre diversi filoni coagulatisi inesorabilmente: il canto benaugurale, il rito di passaggio dall'anno vecchio a quello nuovo, la possibilità di dire, burlescamente, quanto durante l'anno non è dato dire.
Ragazzi, la vostra passione per questa tradizione è encomiabile e ardente: cambiate pure i modi, inventate parole e musica, rallegratevi nel rispetto, ma non nella deferenza, degli altri.
Ma più di ogni altra cosa cercate di preservare intatto lo spirito di convivialità di un rilevante momento della vita comunitaria.
Non conta tanto la gara a chi è più bravo, o quella archetipica, verace, e tutta mascolina del "chi dura di più": conta divertirsi e far divertire. Condensando paure, amare verità, nostalgia, timori e speranze future in un'esternazione canora e musicale. Dissacrandole, esorcizzandole e seppellendole, almeno per una notte, con un diffuso sorriso.

venerdì 21 dicembre 2018

Libero


Il freddo spietato del primo mattino a dicembre ti scopre nudo, e lentamente s’impasta al cruento bagliore del  sole.
Ti crepa la pelle, ma la tua natura, che per poco riduce al silenzio tutto il resto, ti chiama, e tu non hai di meglio da fare che risponderle.
Ad ogni passo che sospingi in avanti s’accresce la tua forza, s'irrigidisce la tua inizialmente tenue volontà.
L'odore acre della terra mescolata all'erba, ancora umide, narra la tua storia, la tua essenza, meglio di quanto ogni parola potrà mai fare.
E la nebbia, che svogliata e silenziosa si leva dallo specchio d'acqua nell'angusta pianura, ti ricorda ancora una volta il prezzo che hai pagato per liberarti dalle più selvagge e ferali paure, sostituendole con delle nuove.
Più civili e subdole, non meno malvagie.
Ma sei libero, ora: nello spazio che intercorre tra un passo e il successivo, nel vapore che fuoriesce dal tuo caldo corpo, su questo suolo amaro sferzato dall'aria asciutta, sei libero.
Come non lo sarai in nessun altro modo.

martedì 18 dicembre 2018

La centralità delle religioni nell’interpretazione del mondo antico e moderno

Che si sia credenti, atei o agnostici, lo studio delle origini religiose e degli sviluppi spirituali dei popoli susseguitisi nella storia è ancora una chiave di lettura fondamentale per indagare sulla società attuale, e più nel dettaglio sull’individuo moderno.
Piaccia o meno, la religione ha esercitato per millenni, e in molti casi continua a farlo, un’influenza primaria sulle norme di conduzione dell’esistenza umana; ciò in qualunque ambito ove l’uomo si sia costituito una, seppur semplice, struttura comunitaria.
Tentare di approfondire le contingenti dinamiche d’approccio al reale, esulando dagli aspetti e dai retaggi religiosi, equivale a tracciare una lettura parziale delle cose.
Ovviamente la tematica storico-spirituale è talmente ampia e complessa che fornirne un quadro completo appare a dir poco arduo anche per i maggiori esperti della materia.
Lo scopo di questo articolo, dunque, non vuole e non può essere quello di proporre un’accurata analisi storiografica e culturale sulla portata che i diversi credi religiosi hanno avuto nel dipanarsi dell’esperienza umana, ma piuttosto rappresenta il semplice invito di un “curioso” a tentare, benché sommariamente, di intendere più a fondo le origini della nostra e di altre società, e in ultima analisi di conoscerci un po’ meglio.
Come risaputo, spesso il confine tra religione e potere politico è stato labile, e ha caratterizzato alcuni cruciali cardini delle strutture societarie e, in maggior misura rilevante, ha influenzato le più intime convinzioni di milioni d’individui, sfociate a loro volta nella elaborazione di principi e valori, talora di dogmi, che hanno concorso alla strutturazione degli antichi e attuali sistemi collettivi.
Porsi in maniera analitica allo “studio” del mondo moderno, non può che presupporre una precedente ponderazione su tali temi. E se l’osservazione vuol essere davvero completa, suggerisco di non soffermarsi alle sole tradizioni religiose occidentali, ebraismo e cristianesimo su tutte, ma di cercare perlomeno di informarsi riguardo alle nozioni fondamentali di altre confessioni di cui spesso ci riempiamo la bocca (islam e induismo ad esempio), ma delle quali in realtà conosciamo ben poco. Senza considerare, appunto, che sappiamo quasi nulla finanche della religione di cui la maggior parte di noi si professano seguaci.
Certo occorrono molto tempo e impegno, e non nascondo che alcune parti dei libri sacri nonché degli approfondimenti storici, archeologici e letterari ad essi connessi possano manifestarsi come anacronistici e pedanti all’occhio del lettore medio moderno.

Eppure basterà staccarsi per un po’ da alcune delle nostre essenziali attività virtuali, o dall’ultimo libro di Fabio Volo, per trovare la voglia e il tempo necessari.

mercoledì 12 dicembre 2018

Molise: "Un meraviglioso declino"

https://www.tuttitalia.it/molise/statistiche/censimenti-popolazione/
https://www.tuttitalia.it/molise/statistiche/popolazione-andamento-demografico/



Prendendo a prestito il titolo del bel disco di un giovane cantautore siciliano, allego i dati dell'andamento demografico nel territorio molisano, dal 1861 al 2017.
Ovviamente, di meraviglioso non c'è niente, se non la fascinazione più o meno perversa che ogni "declinare" porta con sé. Ci sono molti lati positivi nel vivere in una regione sostanzialmente lontana, in parte, dalle maggiori problematiche tipiche dei vasti agglomerati urbani e contraddistinta da alcuni paesaggi fiabeschi, ma allo stesso tempo bisogna, appunto, poterci vivere, ovvero trovarvi un impiego che consenta di essere autosufficienti. 
Ecco, prima di proporre soluzioni che sono tanto necessarie quanto ardue da individuare, bisognerebbe soffermarsi un attimo sui dati di fatto: dal 1951 al 2017 (un arco di soli 66 anni) la popolazione molisana è letteralmente crollata dalle 406.823 alle 308.493 unità.
Ora, io non sono molto preparato in matematica quindi lascio a voi l'onere, qualora ne aveste voglia, di fare i calcoli percentuali. Ma così, a senso, sento di poter dire che i problemi da affrontare sono molto più grandi di come spesso li si vogliono far apparire.
Quindi? Smettiamo di cercare delle soluzioni e accettiamo supinamente un' incontrovertibile tendenza?
Certo che no, ma se si vuole affrontare la questione in maniera seria, l'unico modo per farlo è approcciarsi ad essa in maniera strutturata, non proponendo accomodamenti "magici" e sconclusionati.
Un conto è confidare nella speranza, coltivando virtuosamente e sistematicamente un lavoro di perfezionamento individuale e comunitario; un altro è fingere che con una bacchetta si possa mettere tutto a posto, così, dall'oggi al domani.
Il "meno siamo e meglio stiamo" di arboriana memoria è potenzialmente condivisibile, dal mio punto di vista (quello di un orso di collina), specialmente nel periodo storico che stiamo attraversando. Ma per "essere" in quanto comunità, nello stratificato e complesso sistema socio-economico contemporaneo, bisogna avere i numeri. 
Se la tendenza di cui sopra dovesse continuare senza grossi inciampi, nel giro di poche decine di anni del Molise, per come lo conosciamo, non resterà che il ricordo.
L'impegno a contrastare questa portentosa deriva deve essere ad un tempo diffuso e capillare: non si può pensare, quantomeno io non penso, che senza investimenti strutturali, senza la collaborazione della massima parte degli enti locali e  governo centrale, senza scongiurare sperperi e contentini di sorta, la situazione possa evolvere positivamente.
Avere un quadro realistico della situazione contingente può lasciare un sentore aspro al palato, rendere difficoltoso muoversi per  contribuire a diradare le difficoltà che ci attanagliano, eppure ne è presupposto fondamentale.
Costruirsi o, peggio, lasciarsi illudere da circostanze contestuali che semplicemente non esistono, invece, equivale a firmare la propria condanna, per giunta sorridendo come un ebete. 




giovedì 6 dicembre 2018

Nessuno finirà di leggerlo. (Astrusa argomentazione strettamente personale sul valore della comunicatività nel post-postmoderno)

Talvolta ho la sensazione che tutto sia già stato detto, e che a noi non resti che ripetere, magari con accenti diversi e più personali, ciò che qualcun'altro ha ben prima teorizzato ed espresso.
Questo è il motivo per cui negli ultimi anni ho scritto molto meno. Inoltre reputo fuorviante, nonché potenzialmente pericoloso, riversare pensieri intimi in un tritacarne, del quale io stesso in qualche modo faccio parte, come Facebook.
Sulle incoerenze, spesso inevitabili, dell'esistenza mi riservo di parlare in altra occasione, in quanto il discorso si farebbe troppo complicato e mi impedirebbe di approfondire ciò che sento di esprimere in questo momento.
Qui mi limiterò a dire che ritengo si possa essere onesti con se stessi pur usufruendo di mezzi comunicativi di cui non si approvano appieno le modalità e molto spesso i contenuti.
D'altro canto non ho abbastanza stima di me stesso, e della società in cui vivo, per scrivere un libro e proporlo ad un editore.
Eppure, saltuariamente, sento il bisogno di riversare delle considerazioni su un foglio, fisico o elettronico che sia, e il desiderio o meglio ancora la speranza che qualcuno legga, e trovi quantomeno interessante ciò che vi è scritto. Non so se si tratti di un'esigenza narcisistica del mio insoddisfatto ego, o più semplicemente di una necessità comunicativa insita nel mio carattere. Forse non è poi così importante appurarlo, ciò che conta per me in questi, ormai rari, momenti, è tirare fuori quello che sento.
Così ho deciso di farlo nel modo che mi appare più congeniale, sfruttare il Web, ed in particolare Facebook, ma attraverso un filtro, il filtro di questo blog che non utilizzavo oramai da anni, e che mi permette di conservare una speranza speciale: che qualcuno sia davvero interessato a ciò che penso, che lo legga per il solo piacere, o ancor di più per la curiosità, di farlo. In che modo? Superando un ostacolo tanto ridicolo quanto arduo da valicare nel nostro mondo iper-informatizzato e fondato sulla superficialità dell'attenzione, costretto a divincolarsi tra la velocità di azione e la noncuranza: cliccare su un post, aprire una pagina che vada oltre il social network, non fermarsi al titolo (che mi auguro sarà accattivante quanto basta per facilitare questo passo).
Io stesso sono diventato più pigro culturalmente, quindi la mia non vuol essere una critica tout court, perché quelle lasciano il tempo che trovano: ogni cosa va analizzata nel dettaglio e argomentata perché se ne possa discutere seriamente.
Ciò che vado ripetendo, in primis a me stesso è:
ogni tanto facciamolo questo sforzo di cliccare su un pulsante, aprire un'altra finestra sul mondo che non sia riduttiva quanto scorrere la homepage di un collettore di frammenti, più o meno pensanti, ma comunque spesso marginali e insoddisfacenti.
Faccio fatica a mostrare la mia vera anima su Facebook, anche se ogni tanto, più o meno velatamente, ci provo.
Il problema, oggi, è spostare la nostra soglia di attenzione e sete di sapere, in avanti: ci stiamo appiattendo eccessivamente in formule abbreviative che non possono contenere aspetti complicati della realtà.
Trovo imbarazzante e precario discutere di temi complessi su  piattaforme sempre più vandalizzate dall'approssimazione, come i luoghi virtuali della società. Allo stesso tempo non comprendo chi li adopera, anche sapientemente, ma poi si rifiuta di rispondere a critiche che gli vengono poste: certo, talvolta sono talmente sconclusionate da rasentare l'inabilita mentale, e in questi disperati casi forse la miglior risposta rimane la non curanza. Ma quando i quesiti posti contengono un minimo di fondamento, per lo meno logico, l'atteggiamento di manifesta superiorità intellettiva, e il conseguente sottrarsi ad un confronto per quanto in luogo inappropriato, lo trovo vile, facilistico e in definitiva gravemente errato.
Se si decide di partecipare ad un "gioco" bisogna accettarne le regole. Questo non vuol dire che si debba giocare come tutti gli altri.
Concludo questa lunga, e apparentemente confusa, dissertazione tornando alla considerazione in principio: è stato tutto detto? Non lo so. So che non ho voglia di aprire dibattiti che spesso si evolvono al ribasso; che ho meno voglia di esprimermi rispetto a prima, perché sovente lo trovo superfluo e comunque inutile. Mi piace parlare negli occhi di chi ho di fronte, magari fumando una sigaretta o bevendo una birra. Camminarci assieme, ché il gesto  supporta il pensiero, e viceversa.
Finché senti crescerti nello stomaco qualcosa di impellente tanto da doverlo strappare fuori, e cerchi di fissarlo in parole, frasi, paragrafi o semplicemente ragionamenti, non conta che sia già stato detto o meno: devi farlo, perché è la tua indole, la tua cifra, l'espressione più compiuta della tua esistenza. E non importa se qualcuno aggiungerà un like, o fingerà di comprendere nel tentativo di compiacerti. L'unica cosa che conta realmente è che tu abbia detto esattamente ciò che sentivi, per quanto il linguaggio sia per sua natura insufficiente ad esprimere pensieri ed emozioni, e che qualcuno, anche una sola, unica, persona abbia voglia di ascoltarti, di leggerti: solo rappresentandoci quanto più possibile in maniera veritiera, seppur inevitabilmente incompiuta, possiamo rivelarci, essere "amati", e volere un po' più bene a noi stessi.