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lunedì 25 settembre 2017

In cammino verso la vita




Da qualche anno ho preso la sana abitudine di camminare, per curare il mio animo e il mio inestinguibile amore per il cibo.
Adoro camminare per le campagne, tra la natura silenziosa e suadente alle volte, rumorosa e dissuasiva altre.
Mi piace passeggiare da solo, ma anche in compagnia: la fatica spesso si cela tra le parole che ci si dice, o forse è solo impegnata a perder tempo con lo sforzo del compagno che ci precede.
Ad ogni modo, grazie a Vincenzo e Chiara, ultimamente ho intrapreso camminate ben più impegnative, e allo stesso tempo allettanti, di quelle che tengo solitamente.
Tra le montagne che abbiamo attraversato nei giorni scorsi, che fossero baciate da un incandescente sole, oppure ammaliate tra le braccia di polverose nubi, mi sono sentito a casa.
Non c’è vento indiavolato che possa far piegare le gambe di chi cammina dentro se stesso. Perché camminare è vivere, e quando si arriva sul punto più alto del colle, quello che si vede non è altro che la strada che abbiamo fatto, e quella che c’è ancora da fare.
Con lo zaino sulle spalle, partendo dalla vallata, i problemi che ci attanagliavano come morse implacabili fino ad un momento prima rimangono chiusi dietro lo sportello dell’auto. Poi tornano inesorabilmente sulle nostre spalle, ma sembrano molto più leggeri, perché la fatica fisica assorbe quella mentale, e aiuta a liberarsi da tutte quelle congetture inutili che smorzano le nostre energie vitali.
E sì, su una cosa, una sola sia ben chiaro, i futuristi avevano ragione: la vita è movimento, ma non il movimento forsennato, spasmodico, nevrotico e ottuso della società moderna. La vita è il sudore che gronda copioso dal nostro corpo mentre scaliamo una vetta, ma è anche e soprattutto la voglia di non smettere, di ricominciare, di rialzarsi ancora e ancora.
Perché camminare è anche un privilegio, e farlo tra questi sinuosi monti, con le persone che amo, è un privilegio ancor maggiore.
Allora, fintanto che non mi si spezzerà il fiato, ed il mio ginocchio malandato me lo permetterà, io continuerò a camminare, a calpestare il verde dei freschi prati, a salire sulle rocce più insidiose, per poi bere da una gelida fonte di montagna.  Perché sono un uomo complicato che ama le cose semplici.

E qualcuno mi ha detto che le cose semplici amano gli uomini complicati.

sabato 26 agosto 2017

Pensieri al vento (d'estate)


L'estate è fulcro di incontri, e di lunghe passeggiate sotto al sole, di chiacchiere assetate spese nella ricerca del riparo salvifico di un albero sotto il quale sostare.
L'estate non è la mia stagione preferita. Non c'è una stagione che preferisco, ogni tempo ha qualcosa di buono e cattivo da raccontare. Di certo, però, la bella stagione è quella dove faccio meno fatica a condividere le giornate con altre persone, conosciute o meno, vuoi per motivi semplicemente metereologici o "logistici". E dunque l'estate è anche fucina di ragionamenti sciorinati con la maestria di un vecchio pantofolaio che ha speso l'inverno passato ad immaginare le risposte alle domande che gli avrebbero potuto fare, e i quesiti ch'egli stesso avrebbe potuto porgere al proprio interlocutore.
Ecco di seguito alcune riflessioni che il caldo vento estivo porterà via con sé.


Sull'arte e l'artista
Un artista è solo colui che riesce a vivere del proprio "lavoro"? L'arte si può imparare?
Di questo parlavamo ieri con un amico, e a me la risposta pareva e pare più che ovvia: no. Ho sempre percepito l'arte come qualcosa di "magico", che non può essere costruito nel tempo. Certo, possono essere immagazinati ed affinati gli strumenti che ci aiutano a partorire un'opera d'arte, che sia un libro, un dipinto, una canzone. Ma quella scintilla che arde nell'animo dell'artista, quella non può insegnarla nessuno. Quella devi averla dentro, e deve bruciare nel tuo cuore e nel tuo stomaco fino a costringerti a tirarla fuori. Che poi venda, o che si decida di venderla, bé è un'altra storia. Una persona più in gamba di me ultimamente mi ha ricordato qualcosa che stavo dimenticando: "la bellezza non ha bisogno di fare rumore". L'arte non ha bisogno di fare rumore.

Sul Molise e i molisani
Durante queste settimane arse dal sole ho ascoltato, più che mai, discorsi sulla nostra regione e sulla mentalità di noi molisani. Cosa volete che ne sappia io della mentalità dei molisani, faccio fatica a capire anche la mia di mentalità. Quello che posso dire è questo: il Molise è ,e sempre sarà, la mia casa. Esco dal balcone di casa mia ogni mattina e assaporo pezzi di vita. Nessun lavoro, nessuna remunerazione in nessuna splendida ed abnorme città potranno mai restituirmi quello che mi ha regalato questa terra. La libertà, è prim'ancora che un diritto, un sentimento. I problemi che affondano le radici in questa terra aspra potranno ammalare i cuori degli uomini, ma non intaccheranno la libertà che trasuda da ogni pietra di questo luogo. Troppo spesso ci dimentichiamo che ci sono tematiche che vanno ben oltre i nostri problemi quotidiani. In quanto alla gente poi, con tutti i difetti che ha il molisano medio, provinciale, perbenista e bigotto, disinformato e pigro, state pur certi che in giro per il mondo, e nella nostra amata Italia, si trova molto di peggio. Meglio essere "buoni e fessi" che "furbi e stronzi". E Amen!

La colpa è della gallina o dell'uovo?
La colpa è la nostra, è di tutti, nessuno escluso. Mi riferisco alla difficile contingenza socio-economica che s'è venuta a creare nella nostra nazione, e nella mia terra. 
Basta scaricarsi le responsabilità addosso l'un l'altro: ognuno di noi ha qualcosa per cui chiedere perdono a Dio o chi per lui, qualcosa per cui tentare un rimedio. Alle istituzioni spetta il compito ed il dovere di dare gli strumenti, di mettere gli individui nelle condizioni di poter partecipare e di poter scegliere. Agli individui spetta la non meno onerosa responsabilità di vivere in maniera civile e consapevole, e di sfruttare al massimo le proprie capacità intellettuali. Di spendersi in questa vita, perché non credo ve ne sarà un'altra in cui recuperare.
So bene che non faccio abbastanza. So bene che devo impegnarmi di più. Combatto notte e giorno per migliorare e migliorarmi, spesso con scarsi risultati, ma combatto. Non sarà forse il caso che chi ha più potere, decisionale ed amministrativo, rispetto a me, cominci a fare lo stesso?
La gentilezza, la giustizia, la solidarietà, l'onestà valgono più del profitto, della realizzazione personale. Ho letto che siamo degli animali sociali, ma ho paura che qualcuno ci voglia semplicemente animali, ed inoltre molto più spietati di quanto un qualsiasi altro essere vivente possa essere. Io non ci sto a questa deriva, a costo di deragliare, a costo di pagare sulla mia pelle il conto. 
Ad occhio e croce, e lo dico da semplice uomo di provincia, più che la mentalità arretrata dei molisani, credo che il problema sia la mentalità iper-individualista e tutta proiettata al profitto incondizionato e senza regole, diffusa un po' in tutto il mondo. Almeno nel "mondo ricco e sviluppato", grazie alle terre e alle persone che ha sfruttato. E se pensate che questa sia retorica buonista, vi invito a riflettere profondamente sulla questione. Non si sa mai che possiate tornare a sentirvi parte di qualcosa che si chiamava società civile, e che io oggi definirei la società del "fregami tu, che sennò ti frego io".

lunedì 17 luglio 2017

U2, Roma 15/07/2017: What a night, what a show!

Foto presa da internet

Alle sedici in punto io, la dolce Chiaretta e mio fratello eravamo già in piedi di fronte alle transenne, per accedere all'Olimpico. Sia chiaro, niente a che vedere con gli stoici acquirenti dei biglietti prato, presenti in diverse migliaia sin dal primo mattino, e sistemati, al nostro arrivo, in una fila oceanica della quale l'occhio non coglieva la fine.
Una snervante ora d'attesa in piedi (quelli del prato mi malediranno), e superati i controlli d'accesso siamo dentro: lo stage del Joshua tree tour 2017 è mastodontico, mi aspettavo di vederlo più piccolo dalla Nord. Ci sediamo comodamente ai nostri posti, chiacchieriamo, guardiamo lo stadio che lentamente ma inesorabilmente si riempie. 
Alle 19:30 gli altoparlanti sembrano scaldarsi tutto d'un tratto: è la canzone che introduce al set di Noel Gallagher; lo riconosco solo grazie al rosso sgargiante della sua bella Gibson.
Si sente molto meglio di quello che credevo, considerando che gli stadi, e in particolare l'Olimpico, sono celebri per godere di un'acustica pessima. 
Chiaretta e Marco si entusiasmano sulle note della dolcissima Wonderwall, cantata all'unisono da tutti i sessantamila spettatori. Io mi emoziono sull'urlo appassionato "So, Sally can Wait" di Don't look back in anger, una canzone che assume significati ancora più profondi in questo momento storico. Brividi a fior di pelle, grande Noel!
Pausa birra e bagno, poi di corsa ad aspettare gli U2. 
Alle nove e un quarto parte "The whole of the moon" dei Waterboys, io so già che di lì a qualche minuto avremmo visto la sagoma del buon Larry materializzarsi sul palco. E così è stato: Mullen si siede dietro la sua fida batteria, qualche secondo di silenzio e parte inesorabile la rullata di Sunday Bloody sunday, che mi arriva dritta al cuore, letteralmente, sento le vibrazioni che attraversano tutto lo stadio: finalmente un volume che si addice al rock! 
Chiara a momenti arriva sul prato per come salta. Una canzone d'apertura davvero potente e azzecata. Si susseguono alcuni dei pezzi più belli della storia del rock, lo schermone in 8k si accende ed è qualcosa di meraviglioso, sembra di stare al cinema con altre sessanta mila persone, solo che non è un film ma la realtà. 
Lo show è strutturato davvero bene, due ore e un quarto estremamente intense, piene di grandi hits ma anche di perle rare e stupende, come la trascinate Exit, la toccante Red hill Meaning Town, la magica Mothers of the disappeared. Momento cazzone con Beautiful Day, Elevation e Vertigo, ma quanto tremano gli  spalti!
Bono e compagni sono in gran forma, la performance è impeccabile.
One ci manda tutti dritti nella stratosfera: è il terzo concerto di questa portata cui ho modo d'assistere, ma ancora non riesco a non emozionarmi quando sento le miriadi di voci di perfetti sconosciuti che si fondono in un unico, accorato canto che travolge ogni barriera.
Ovviamente c'è il tempo di fare amicizia con altri spettatori, gli instancabili e simpaticissimi irlandesi, e due grandi fan, super carichi come noi, da Modena.
I nostri decidono di chiudere con l'inedita The little thinghs that give you away, un pezzo che catalizza ed ipnotizza, e che ci lascia tornare a casa con una sensazione diffusa: abbiamo assistito ad un grande concerto di quella che ad oggi, senza se e senza ma, rimane la più grande rock band del mondo.

sabato 10 giugno 2017

Caro Matteo


Caro Matteo,
che te lo dico a fare, io sono un irrimediabile idealista, e in quelli come te non ci ho mai creduto.
No, io non ti conosco affatto personalmente, non ti giudico come uomo ma come politico. Ecco, come politico moderno non posso altro che farti un enorme plauso, sei il miglior rappresentante della politica deteriore nostrana, quella inaugurata, sebbene in maniera non altrettanto fastosa (o nefasta, che dir si voglia) dal buon vecchio Giolitti, perseguita nel corso degli anni da illustri discepoli, Andreotti su tutti, e portata al suo apice da Silvio Berlusconi. E di questa tradizione tu sei il più degno continuatore. Hai tutte le carte in regola per esserlo: sei forte, hai una grande volontà, un certo carisma; sei ambiguo, incoerente, dichiari quello che poi non farai (non dovevi ritirati dalla politica?), sei bravissimo a mischiare le carte, ad uscire sempre vincitore anche dalle peggiori sconfitte.
Ma io, Matteo, sono un uomo di sinistra, una sinistra che non esiste più in Italia e che probabilmente non è mai esistita se non nel cuore e nell’animo di migliaia, forse milioni di uomini e donne che credevano in un sogno, magari in maniera un po’ ingenua, ma ci credevano davvero. Con quelli come me, Matteo, la tua dialettica non attacca, perché se uno è vicino a temi come la solidarietà, l’uguaglianza, la giustizia sociale, lo capisci subito, all’istante.
Non me la prendo solo con te, sia ben chiaro: come dicevo prima, la sinistra è latitante nel nostro paese da molti anni, e tu non sei che il prodotto di quest’assordante latitanza.
Ognuno ovviamente è libero di credere che tu rappresenti una sinistra moderna e di governo, ma per me, caro Matteo, resterai sempre un intraprendete politico di centro, degno della peggiore Democrazia Cristiana. Con te non solo non abbiamo invertito, e mai invertiremo, la rotta, come dici tu: anzi, stiamo continuando ad andare contro un muro che si fa sempre più vicino e sempre più grande. Le tue politiche economiche sono espressione di un neoliberismo non curante di alcun equilibrio e giustizia all’interno della società, quelle sociali sono deboli e sconclusionate.
Hai concesso qualcosa a coloro che in buona fede ti hanno reputato un possibile buon presidente, ma te lo sei ripreso con gli interessi, perché non hai alcun progetto politico a lungo termine, tu come molti tuoi colleghi di partito e non. Mi auguro che da queste macerie che state contribuendo a creare, in ottima compagnia, s’intenda, possa un giorno ergersi una personalità che tenga a cuore i più deboli, i lavoratori, i disoccupati, gli emarginati. Perché, dal primo giorno in cui ti ho visto ed ascoltato, caro Matteo, ho sempre avuto l’impressione che a te non freghi poi molto. Magari potrei sbagliarmi su questo, in fondo non posso giudicare appieno un uomo che non conosco personalmente, ma di certo non mi sbaglio sul fatto che la tua “ricetta” non sia quella giusta per risollevare le sorti del nostro paese e del suo popolo.
 Cordiali saluti,
                                                                                                                                   Pietro.

lunedì 10 aprile 2017

Paul Weller, "More modern classics (vol.2)"


La rilevanza storica dei Jam è cosa nota ai cultori della buona musica. I giovani inglesi, capitanati dal carismatico e talentuoso Paul Weller, seppero dare testimonianza del lato più "cool" (se vogliamo) del punk britannico, con composizioni secche, veloci, potenti. Riuscirono cioè a coniugare, probabilmente meglio di chiunque altro in quell'ambito, le potenzialità pop del genere dei Sex Pistols con la sua anima più selvaggia.
La forza di fuoco orientata alla coerenza delle melodie e alla loro infallibilità, già ben visibile da questi albori, venne coltivata da Paul lungo la sua carriera con gli Style Council, e portata all'apice negli album solistici. Da questi ultimi lavori straripa con forza eclatante la verve più fortemente soul, nera, blues, R'n B, dell'ormai maturo cantautore britannico, che s'era vista imbrigliata dal fulgore punk dei primi anni.
I Jam resteranno sempre la scelta migliore per ascoltare un bel pezzo rock del buon Weller (che da questo punto di vista deve molto ad alcune sonorità dei compatrioti Who), ma se volete perdervi tra i meandri del suo animo, allora vi consiglio di acquistare questa deliziosa collezione di singoli avvincenti e trascinanti, impossibili da non cantare a squarciagola. "Modern classics vol.2" placherà la vostra sete di melodie e armonie senza tempo.
Dalle dolci carezze acustiche di Sweet pea, My sweet pea, al soul semi elettronico di Wishing on a star, passando attraverso le reminiscenze punk di From the flooboards up, vi stupirete della versatilità di questo artista, che continua a giocare con le note ed i generi a suo piacimento, producendo (quasi) sempre e comunque ottime canzoni.
E, come continuo a sostenere ormai da diversi anni, anche il pop, se fatto bene, può essere esempio di grande musica. Ascoltare la semplice e incisiva All I Wanna do (is be with you) per credere!


giovedì 23 marzo 2017

10 album dei miei anni, gli anni 90'.

Gli anni 90', a parer mio, sono stati un periodo estremamente prolifico per la musica. Non posso certo vantarmene, ma in quel del 1991, anno della mia nascita, venivano stampati una sfilza di album impressionanti per qualità e contenuti. Giusto per citarne alcuni: Loveless dei My Bloody valentine, Spiderland degli Slint, Blood sugar sex magic dei Red Hot, Ten dei Pearl Jam, Nevermind dei Nirvana, Acthung Baby degli U2, Screamadelica dei Primal Scream, il "Black album" dei Metallica, e la lista sarebbe ancora lunga. Tralasciando per un attimo la mia annata d'oro, mi preme qui citare brevemente alcuni degli album che ho maggiormente apprezzato di quel decennio:

-Automatic for the people, R.E.M: questo incredibile lavoro, che ha visto la luce nel 1992, rappresenta a mio avviso uno dei picchi massimi raggiunti dalla musica moderna, condensando al suo interno undici pezzi ispirati, malinconici, curati ed imprescindibili. Il miglior album della band georgiana, assieme all'esordio "Murmur". Una discografia completa non può prescindere da questo capolavoro.

-Frigid stars, Codeine: apologia della slow-core, assieme a Spiderland degli Slint, questo disco rappresenta, con i suoi rintocchi cadenzati e ricolmi d' enfasi, un manifesto della decadenza di fine millennio. Una decadenza mai così dolce.

-Ok Computer, Radiohead: nel 1997 Tom Yorke e soci producevano quello che con ogni probabilità è il loro disco più equilibrato, non il migliore, ma quello dove tutte le influenze del gruppo, dalla musica elettronica al punk-rock, fino ad un certo grunge, trovano il giusto peso e si tengono perfettamente tra loro. 



-Zooropa, U2: di Acthung Baby ho già ampiamente parlato in passato, e ritengo che rimanga il loro apice insuperato. Ma appena due anni dopo la  sua uscita, ed in pieno ZooTv tour, i quattro dubliners lanciano sul mercato quello che è probabilmente il loro disco più sperimentale (con il rinnegato e potente Pop). Zooropa contiene perle come Stay, Numb, Lemon, The first time, e ancora oggi ha un suono tremendamente attuale.



-No Code, Pearl Jam: non mi linciate, ma a me i Pearl Jam piacciono più dei Nirvana. E ritengo questo disco superiore a Nevermind, e alla stregua di Ten. Vitalogy rimane un gran lavoro, ma No Code tira giù tutto. La migliore band grunge di sempre.

-Different class, Pulp: quando il mio negoziante di fiducia mi ha proposto questo album, sono rimasto letteralmente sbigottito: è del 1995, e suona come se fosse stato registrato ieri! I temi sociali non tolgono energia ai dodici brani della tracklist, durante i quali si balla, si salta e ci si diverte da paura. E quanto mi piace disco 2000...



-Dire Straits, Live at the BBC: registrato live nel 1978, con la sola aggiunta di Tunnel of Love eseguita qualche anno dopo, Live at BBC rientra a tutti gli effetti tra le pubblicazioni degli anni 90', essendo stato lanciato sul mercato nel 1995. Non sempre le operazioni commerciali sono prive di levatura artistica, e questo ne è l'esempio più emblematico, restituendoci una band nel pieno della sua vitalità rock, con un basso roboante ed un suono dannatamente dirompente. E otto delle loro migliori canzoni, suonate con perizia, intenzione, e tanto sudore.



-Californication, Red hot chili peppers: giusto in tempo per non essere escluso da questa breve lista, usciva nel 1999 il lavoro più celebre della band californiana. Celebre e celebrato, a ragione, poiché se Blood sugar sex Magic rimane insuperabile per originalità ed incisività, Californication, con la sua lunghissima fila di ottimi singoli, ha comunque il pregio di aver segnato l'adolescenza di milioni di individui sulla faccia della terra, tra cui quella del sottoscritto.



-Parklife, Blur: i Blur sono stati uno dei gruppi mainstream più strambi degli ultimi trent'anni. Strambi nel senso nobile del termine, ovvero originali e mai banali. Tra le loro uscite discografiche, assieme all'omonimo disco, non potrei che scegliere questa bellissima opera, crocevia ineludibile della musica anni 90'.


-(What's the story) morning glory?, Oasis: Quale scelgo? Definitely Maybe o questo? Alla fine ho scelto questo, anche se di poco, lo preferisco al primo. Alfieri del nuovo corso pop rock, gli Oasis si saranno anche resi antipatici in molte occasioni, ma di talento ne avevano, e tanto. Basta scorrere la tracklist di questo album per capirlo.



lunedì 6 febbraio 2017

Nello spazio di sette note

Immagine presa da internet

Tra le varie forme d'arte cui l'uomo ha dato adito e nutrimento nel corso della sua storia, la musica è la mia preferita. Non è una questione di campanilismo a prescindere, e non pretendo di definire una qualunque forma di preminenza tra un campo o un altro, tra quelle che sono le meravigliose e varie discipline artistiche: semplicemente la musica ha un posto particolare nel mio cuore, poiché suscita in me sensazioni che null'altro è in grado di risvegliare.
Forse ,in parte, ciò è dovuto al fatto di essere figlio di un "dilettante" musicista, di essere cresciuto in una casa dove il sapore della domenica era accompagnato dalle note di una canzone, dove strumenti e dischi sono sempre stati parte integrante della quotidianità. In più sono un pessimo disegnatore, un ridicolo ballerino (quelle poche volte in cui ho osato muovere qualche passo ritmato, sembravo sempre un bradipo sotto l'effetto di allucinogeni), e per quanto concerne la scrittura, bé con tutto il rispetto per le lettere, ma le note hanno un impatto molto più devastante sulle nostre emozioni.
C'è uno spazio, tra una nota e la seguente, che tiene in sé molti più segreti di quanti ne possa svelare una frase: in quello spazio milioni di persone, divise tra loro da migliaia di chilometri, da esperienze personali e aspetti caratteriali, possono riconoscersi allo stesso modo. Cosa c'è di più potente del linguaggio musicale? Cosa riesce ad unire miriadi di volti amorfi, condensandoli in un'unica grande emozione? Sono pochissimi i retaggi dell'uomo che hanno questo immenso potenziale, e tra questi forse solo la religione e gli ideali possono battersela alla pari con la musica. Purtroppo, però, sempre più spesso la religione e gli ideali sono fulcro di divisioni, talvolta anche aspre, oltre che di unione.
Effetto collaterale che, fortunatamente, la musica non conosce.

sabato 4 febbraio 2017

Vuoi la verità?


Quando avevo quattordici o quindici anni scrivevo spesso. Molto più alacremente di quanto non faccia adesso. Avevo sempre qualcosa da dire su ogni argomento, perché m’illudevo di conoscere “la verità”. Quello che era giusto o sbagliato, bello o brutto, per me era facilmente distinguibile all’epoca.
Oggi, paradossalmente, sono molto più insicuro di quando ero ancora un adolescente.  “The more you see, the less you know”, c’è qualcosa di terribilmente vero in questa frase banale. Almeno nel mio caso.
Le “chiacchiere vuote” hanno perso rilevanza nel mio modo di intendere le cose, ed ha acquisito enorme preponderanza “il fare”. Ho smesso di idolatrare i  miti della parola scritta, della filosofia, del pensiero, ed ho cominciato a spostare la mia attenzione sulla gente che fatica ogni giorno, e che con il suo sudore conduce un’esistenza “normale”, ai limiti della banalità. Una vita fatta di sacrifici incastonati con momenti di tenerezza ed effimera gioia. I miei eroi sono i padri e le madri di famiglia che lavorano, crescono la propria prole, si divincolano tra le redini di una società ingarbugliata e fatua.
Che senso ha occuparsi di ciò che va oltre queste tematiche?
Qui, tra questi anni di vita spesi nell’ordinaria routine del lavoro (o della sua ricerca), dei lutti, delle nascite, delle tasse da pagare, degli esami da superare, delle malattie da affrontare, si cela tutto ciò che di più alto e basso possa esserci nell’animo umano. Non mi interessano le storie straordinarie, mi interessano quelle ordinarie, quelle che tutti potremmo avere.
Ecco perché non scrivo più tanto, e come prima: le parole non mi attraggono quanto una volta, i fatti le schiacciano con il loro peso inevitabile.
Mi sveglio ogni mattina, e mi chiedo come possa migliorare la mia vita, e quella di chi mi sta attorno: non trovo risposta più adeguata se non quella di sforzarmi, di fare, di esserci nei momenti brutti e in quelli belli. Esserci, come una roccia che resiste tra le violente onde di una mareggiata, che si sgretola sì, ma poco a poco, senza lasciarsi spezzare. Non ho ambizione più grande che essere quella roccia.

Le verità assolute ed elevate le lascio a chi ha bisogno di  carezzare il proprio ego: le persone di cui ho stima sono quelle che percorrono una via disseminata di buche da saltare, e dossi su cui salire. E in questa vita “la verità” la si scopre passo dopo passo, incontro dopo incontro, risalita dopo caduta, e non è un insieme di piccole o grandi rivelazioni, ma la sintesi di un travagliato percorso personale, prima ancora che attraverso il mondo, dentro se stessi.

martedì 3 gennaio 2017

Lasciateli sognare


Quando ero un bambino spesso giocavo da solo: immaginavo battaglie cosmiche e mondi paralleli, che per me avevano un' incidenza incredibile sulla realtà. Credo sia capitato a molti di fare giochi del genere, anche se a me durò un po' più della norma quella fase, tanto che iniziai a vergognarmi.
Col passare del tempo ho capito quanto sia importante nella mia vita l'immaginazione: non ho smesso di creare universi concomitanti, ho solo smesso di correre su e giù per il corridoio di casa, emettendo strani versi.
La fantasia è un'arma potente non solo per i bambini, ma ancor più per gli adulti. Essa ci permette di realizzare quello che in realtà è inattuabile, sublimando frustrazioni e preoccupazioni, rendendo le asprezze della vita un fardello meno pesante da sopportare. Ecco perché amo i film fantasy e tendo sempre più a "regredire" nei miei gusti culturali: la realtà è diventata un posto banale e asfissiante, col quale bisogna certamente fare i conti, ma di cui preferisco dimenticarmi ogni tanto, o quanto meno rielaborala a modo mio.
I luoghi della realtà sono diventati più irreali dei luoghi della fantasia: si passa più tempo davanti al proprio cellulare che in mezzo alla strada. Così l'immaginazione è diventata un'ancora di salvezza contro il degrado di un mondo tridimensionale postato in bella vista sulla rete.
Sono ancora convinto che il futuro stia nascosto negli occhi di un bambino che non sa ancora parlare. 
Un futuro migliore. 
Peccato che gli si sbatta davanti uno schermo, ancor prima che possa immaginarlo quel futuro.