Bob Dylan: “Highway
61 Revisited”
Era il 1965 quando il
ventiquattrenne Robert Allen Zimmerman (in arte Bob Dylan), dopo aver inciso
alcuni dei suoi maggiori successi come Bringing
it all back home, Another side of Bob Dylan, The times day are a-Changing, e The freewheelin’Bob dylan, diede
vita a quello che possiamo serenamente definire l’album più importante che sia
mai stato scritto da un cantautore.
E pensare che fu
registrato in soli sei giorni.
Immaginate questo
ragazzetto gracile e riccioluto che ha appena un annetto più di me, mentre
scrive Like a rolling stone, la canzone universalmente riconosciuta
tra le più belle della storia della musica?
Mi vengono i brividi
solo a pensarci.
Il disco è il secondo
della celeberrima “trilogia elettrica”, e viene dopo Bringing it all back home, e prima dell’immenso Blonde on Blonde.
Dylan accantonò le
sonorità più marcatamente folk e acustiche, tipiche dei suoi esordi, per
avvicinarsi ad uno stile più ammiccante al rock’n roll e al blues.
Sia chiaro, a me piace
da morire il Dylan di Blowin’ in the wind e Baby
Blue per intenderci.
Ma nessuno dei suoi
dischi precedenti contiene un’unità musicale e d’intenti come Highway 61 Revisited.
La voce di Dylan è
nebbiosa, i suoi testi ispirati, gli arrangiamenti più tirati che mai.
Al Kooper, Mike
Bloomfield, Paul Griffin, Bobby Gregg, Harvey Brooks e Sam Lay suonano
egregiamente i rispettivi strumenti.
Un urlo si spande da
lontano. Il grido di un giovane cantautore che si scrolla di dosso la
venerazione gratuita di alcuni fan ossessionati, che bacchetta certa
sottocultura americana, che sputa il fumo di una sigaretta in faccia a una
classe dirigente incapace di curare gli interessi della comunità.
Sembra che l’abbia
scritto l’altro ieri vero?
Questo è il bello del
cantastorie originario di Duluth, che puoi prendere anche il suo testo più
invischiato nell’epoca in cui fu elaborato, ma avrà ancora una sua attualità,
un senso che travalica le barriere del tempo e del suono e che ti mette dinanzi
all’evidenza della verità.
“Conosci la verità, e
la verità ti renderà libero”, così recita una frase della Bibbia.
E in un certo qual
modo Bob Dylan è stato il profeta della musica moderna, paragonabile per
notorietà e rilevanza solo a Elvis Presley, ai Beatles e agli Stones.
Ascoltando Thombstone
Blues, Ballad of a thin man, Highway 61 Revisited, Desolation Raw, una
cosa ci appare ormai certa: il tipetto “schivo e scontroso” proveniente dal
Greenwich Village, si è trasformato in un cantautore esperto e maturo, che sa
giocare con la musica e la sua immagine meglio di chiunque altro.
Ce lo dimostrano anche
le parole di Cesare Rizzi, che nel descrivere la copertina di questo disco
afferma: ”Anche la copertina testimonia di un artista diverso. Dylan indossa
una sgargiante camicia psichedelica sopra una maglietta che riproduce la sua
moto Triumph, e sfoggia un’aria vagamente di sfida, un atteggiamento un po’
alla James Dean un po’ alla Marlon Brando, a sancire il passaggio irreversibile
da cantore della protesta folk, a superstar del rock e personaggio tra i più
influenti della scena musicale”.
Nel ritornello di Like
a rolling stone Zimmerman si domanda: “Come ci si sente, come ci si
sente ad essere da sola? Senza un posto dove andare? Come una completa
sconosciuta, come una pietra che rotola?”.
Scherzosamente mi verrebbe da rispondere “The answer my friend, is
blowin’in the wind, the answer is blowin’in the wind.”
Amen!
L’Highway 61 collega
New Orleans con il Minnesota, il Sud e il Nord degli Stati Uniti d’America, il
vecchio e il nuovo Bob Dylan.
Non ci resta che fare
il pieno e correre ad esplorarla.
Voto: 9/10
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