Scrivo questa breve riflessione mentre mi trovo in una sala d'aspetto per la visita medica di un parente che ho accompagnato. Avrei avuto innumerevoli e più consone circostanze per farlo, ma, tant'è, all'urgenza d'esprimersi non si danno appuntamenti né orari.
Da qualche settimana ho preso la decisione di eliminare i profili "social" sui quali ero attivo, e che tentavo di utilizzare maggiormente per la condivisione dei miei scritti e di altre esternazioni di minor conto ma ad ogni modo rispettose dell'altrui sensibilità. La vita come ben sappiamo è connotata dal serio e dal faceto, e non ho mai ritenuto opportuno ridurre al silenzio quest'ultimo aspetto, che stimo altrimenti assolutamente connaturale alla mia esistenza. Di più, non ho mai preteso, e sarei stato uno sciocco nel farlo, che i "social" fossero univoca espressione di tematiche esistenziali e profonde dissertazioni sulla realtà che ci avvolge. Pur ponendomi sempre con atteggiamento critico rispetto al tipo di uso che se ne potesse fare, ho inteso adoperarli prima per un'umana esigenza di riconoscimento comunitario, anche laddove questa fosse autoreferenziale, e poi perché sostenevo, e continuo a sostenere, che se ne possano trarre fruttuosi esiti sebbene a discapito di potenziali distorsioni negative. Evidentemente queste ultime, per quel che concerne la mia personale condizione nell'utilizzo di tali canali comunicativi, rischiavano di prendere il sopravvento. Mi sono risolto a cancellare i miei profili, dunque, per un insieme di motivazioni che vado brevemente ad elencare.
In primo luogo essi erano una consistente fonte di distrazione, il che non è di per se un elemento malvagio, ma avendo a disposizione moltissime altre e migliori riserve cui attingere al riguardo, i "social" cominciavano ad essermi d'intralcio. Da qualche giorno stavo infatti cercando di immergermi nella lettura di un libro assai interessante e parimenti scritto in linguaggio specifico di non semplice fruizione: ebbene facevo fatica a riuscirvi, ed ogni qualvolta la lettura diveniva eccessivamente impegnativa fuggivo verso lo schermo del mio cellulare in cerca di più facili scappatoie.
Ma (quasi) tutto quel che trovavo urtava la mia intelligenza ed emotività, e non da ultimo il buon senso, al punto che cominciavo a chiedermi cosa ci facessi, io, nonostante i tanti miei difetti, in quel grondaio d'approssimazione e malelingue, assorbito dalla giungla d'estemporanee esternazioni sintomatiche d'indisposizioni fisiche ed emotive mal incanalate, nell'assurda pretesa di sviscerare una verità che si voleva assoluta, e che non poteva essere se non relativa. Ci facevo, forse, quel che pochi altri internauti (quale termine obsoleto), con immani difficoltà, si sforzano di fare, ovvero "stare nel mondo" sapendo di farne piena parte, impegnandosi stoicamente nel non lasciarsene cannibalizzare, bensì relazionandosi, per quanto possibile, in maniera dialettica con esso.
Ebbene, l'elevata soglia di sopportazione, l'erudita impassibilità ottenuta a colpi di vivida e disincantata esperienza, non è mai stata una delle mie migliori qualità. Così ho ceduto alla volontà di mandare tutto quel ciarpame a farsi benedire, ed eccomi qui, a non crogiolarmi giammai nella vile illusione d'essermi sbarazzato delle tante brutture che permangono nella nostra società, ma augurandomi, quantomeno, d'essermi tolto d'impiccio da una delle tante incongruenze che mi, e ci, contraddistinguono.
Ora, non ricordo bene quale filosofo disse che bisognava guardarsi dal cattivo gusto di voler essere amici di tutti, ma in effetti aveva le sue buone ragioni. Di amici ne ho davvero pochi, credo anche e soprattutto a causa mia. Nonostante questo non amo esprimermi cinicamente, mi piace invece essere educato anche nei riguardi di chi non apprezzo particolarmente, esimendomi, ovviamente, dal prostrarmi con deferenza al suo cospetto. Ma cos'è leggere post feroci, discriminatori, ignoranti, follemente iracondi, goffamente assurdi, vomitevoli sentenze purificatorie che nemmeno la peggior Inquisizione, e starsene lì buoni in silenzio? Cos'è questa se non deferenza o al più indifferenza?
Rispetto il diritto d'opinione di tutti, ma nel merito, laddove ne vedo l'urgenza, sento l'istinto e l'opportunità d'intervenire. Questo bisogno si scontra con la necessità del "quieto vivere" che ugualmente bramo, come la maggior parte dei miei simili.
Infine estraniandomi da questa parte di mondo virtuale, stavolta in maniera totale, non posso che guadagnarne in termini di tempo, coerenza e salute.
E a tutti coloro che, genuinamente, si ostinano a prenderne parte, rivolgo la preghiera di segnalarmi le proprie manifestazioni, austere o frivole che siano, in modo che io possa fruirne tramite differenti canali.
Ancora a loro, con riguardo all'ambito delle "reti telematiche sociali" cui ho fatto riferimento in questo scritto, auguro migliore sorte, e maggior saggezza di quanta ne possa aver usata io.
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