Andiamo avanti con la nostra "opera recensitoria" di buoni dischi... 
Franz Ferdinand: “Franz Ferdinand”
-Cosa prendete?-
Questo domandò il
barman quando entrammo in quel pub a Glasgow. 
Il tizio di fianco a
me chiese una birra. Era alto, smilzo, pallido e aveva una voce baritonale.
Anch’io ne presi una,
e quello blaterò: -Stasera offro io!-
Gli domandai come mai
fosse così allegro, tanto da pagare anche per me, un perfetto sconosciuto. 
Il biondo mi raccontò
che qualche mese addietro era uscito il primo album della sua band, e che
quella sera avrebbero inaugurato il loro tour proprio in quel locale. 
I Franz Ferdinand. Che
razza di nome. A questo punto non sarebbe stato meglio chiamarsi Gavrilo
Princip? 
In fondo era stato lui
a dare un ulteriore pretesto per cominciare quell’assurda guerra. – Non
volevamo prendere il nome di un assassino, e poi Franz Ferdinad suonava molto
meglio!-
Già, come dargli
torto.
Alex Kapranos, questo
il suo nome, mi salutò e raggiunse i suoi compari nel backstage. 
Risalirono tutti
insieme sul palco del locale, dopo una mezz’oretta. 
Iniziarono a suonare
una certa Jacqueline, un pezzo che partiva esile con qualche accordo di
chitarra acustica, e che poi esplose indomito con un basso al cardiopalma, una
batteria tartassante, e chitarre distorte. 
In un secondo l’intero
pubblico, fino ad allora annoiato, cominciò a salterellare a ritmo di musica. Si
divertivano tutti da pazzi, tranne me che restavo nel mio angolino con un
broncio di disapprovazione.
Al secondo pezzo Tell
her tonight, i più erano già impazziti per quei quattro scozzesi, e non
si contenevano nel farfugliare qualche parola campata in aria, nel tentativo di
emulare la scanzonata e peculiare traccia vocale della canzone.
Quando attaccarono Take
me Out i Ferdinand erano al culmine dell’eccitazione, e quel ritmo
dirompente tra il funky e l’hard rock trascinò tutti in una sorta di Iperuranio
dello spasso. 
Cercavo di trattenere
il mio coinvolgimento restando in disparte, ma diventava sempre più difficile. 
Alex mi salutò, prima
d’intonare la successiva Dark of the Matinée, gridando:- Fate
un applauso al mio amico italiano in fondo alla sala!- 
Ma che faccia tosta…
aveva anche il coraggio di mettermi in imbarazzo!
Auf Achse era diversa dalle altre. Più seriosa
ma similmente coinvolgente, e con un sintetizzatore e un cantato a cui era
impossibile non affezionarsi.
Così cedetti e mi
avvicinai un po’ allo stage. 
Alla fine ascoltai Cheating
on you, This fire, Darts
of Plesure, Micheal e Come on Home con grande appagamento
e disinvoltura, e per la chiusura (40 feet) ero in prima fila a pogare
come il peggiore dei fan.
La rabbia aveva ceduto
il posto alla voglia di  lasciarsi andare
al ritmo esaltante di quelle incredibili canzoni. 
Con quello dei Muse,
il miglior rock (in senso stretto) dell’ultimo decennio. Che energia!
La serata si concluse
con uno scrosciante applauso e cori da stadio rivolti ai nostri artisti.
Tutto sommato era
stata davvero un’esperienza entusiasmante!
Ah, vi starete
domandando come mai inizialmente ero adirato e non volevo unirmi ai
festeggiamenti del concerto… 
Bè, quel bastardo di
Alex non solo non mi aveva offerto la birra, ma si era per giunta dimenticato
di pagare anche la sua! E così m’era toccato sborsare per entrambi.
Mai fidarsi di un
musicista!
                                                         
Voto: 8/10
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